Italia: strage di scolari evitata nel Milanese
Quaranta minuti di terrore, quando l’autista di uno scuolabus, un cittadino italiano di origini senegalesi, con precedenti penali per guida in stato di ubriachezza e per un caso di violenza sessuale su minore, ha dirottato prima del mezzogiorno di mercoledì 20 marzo il suo mezzo e, una volta intercettato dai Carabinieri, ha appiccato il fuoco allo scuolabus.
A bordo del pullman c’erano 51 studenti di seconda media con insegnanti della scuola «Vailati» di Crema, che stavano andando in palestra. Ad un certo punto, l’autista, il 46enne Ousseynou Sy, ha cambiato strada e ha percorso la Provinciale 415, la Paullese. «Andiamo a Linate. Di qui non scende vivo nessuno», avrebbe detto l’autista, che voleva fare una strage, come riferisce La Stampa.
L’uomo aveva fatto legare i giovani studenti con fascette da elettricista e anche sequestrato i telefonini, ma uno dei ragazzi è riuscito a nasconderlo e ha avvisato i genitori, che a loro volta hanno avvertito il 112. Alcune pattuglie dei Carabinieri hanno individuato lo scuolabus e sono riuscite a fermarlo allo svincolo di Peschiera Borromeo. Mentre l’autista, che aveva versato della benzina, appicava il fuoco al pullman, uno dei militari ha rotto un vetro e anche la porta posteriore, che ha permesso agli studenti di uscire incolumi dal mezzo.
Subito dopo il suo arresto, l’uomo, che è accusato «di sequestro di persona e strage con l’aggravante della finalità terroristica», come scrive La Repubblica, ha ammesso di aver premeditato il gesto folle e di averlo fatto «per i morti nel Mediterraneo». La tentata strage, destinata ad inasprire il dibattito sui migranti, arriva solo due giorni dopo la sparatoria in un tram ad Utrecht, in Olanda, per la quale gli inquirenti non escludono la pista terroristica, e meno di una settimana dopo la strage terroristica di Christchurch, in Nuova Zelanda.
USA: il presidente del Brasile, Bolsonaro, ricevuto nella Casa Bianca
Per la sua prima visita ufficiale all’estero, il nuovo presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, che ha iniziato il suo incarico il 1° gennaio, ha scelto gli Stati Uniti, dove è stato ricevuto martedì 19 marzo alla Casa Bianca dal presidente Donald Trump. Mentre la decisione di rendersi per primo a Washington costituisce una rottura con la tradizione – finora il primo viaggio estero di un nuovo presidente del Brasile era in Argentina –, la mossa di Bolsonaro era quasi scontata, viste le somiglianze ideologiche tra i due leader. Bolsonaro viene del resto soprannominato il «Trump dell’America del Sud» o anche il «Trump dei tropici».
Come scrive El Mundo, che in un articolo di analisi parla del «nuovo asse» Bolsonaro-Trump, nella Casa Bianca i due capi di Stato hanno «suggellato la loro alleanza politica e strategica». Mentre il presidente statunitense ha promesso di appoggiare l’entrata del Brasile nell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), la sua amministrazione potrebbe anche concedere al Brasile lo status di alleato maggiore non membro della NATO («major non-NATO ally»), che permette un accesso prioritario alla tecnologia militare USA. L’Argentina è attualmente l’unico Paese sudamericano a godere di questo status speciale.
In occasione della visita di Bolsonaro a Washington, gli USA e il Brasile hanno firmato un accordo di sicurezza tecnologica, che permetterà ad aziende aerospaziali statunitensi di utilizzare la base di lancio o cosmodromo di Alcântara, situata nello Stato nordorientale di Maranhão. Nel dicembre 2017, delegazioni di cinque imprese americane, tra cui Boeing e Lockheed Martin, hanno visitato la base, che si trova vicina all’equatore e permette quindi di risparmiare sul carburante, come ricorda il sito CNBC.
Crimea: Mosca rafforza il dispositivo militare nella regione annessa nel 2014
Mentre il presidente Vladimir Putin partecipava lunedì 18 marzo alle celebrazioni per il quinto anniversario dell’annessione della Crimea alla Federazione Russa (era il 18 marzo 2014), il presidente della Commissione Parlamentare per la Difesa e la Sicurezza, Victor Bondarev, ha annunciato lo schieramento di altri bombardieri strategici a lungo raggio – si tratta di Tupolev 22M3 – nella penisola affacciata sul Mar Nero. Lo rivela il quotidiano spagnolo ABC.
Secondo Bondarev, i velivoli supersonici di ultima generazione, che sono stati concepiti per l’attacco nucleare, sono stazionati nella base di Gvardeyskoye, a nord della capitale della Crimea, Sinferopoli, e hanno «modificato l’equilibrio delle forze nella regione». Mosca ha schierato nella Crimea anche il sistema missilistico Iskander.
Anche la Neue Zürcher Zeitung ha dedicato spazio alla questione Crimea, diventata ormai «un problema» per la Russia di Putin. Per il quotidiano svizzero, la regione si è rivelata «un peso politico ed economico». Nonostante il flusso di denaro verso la Crimea, «l’unica cosa che cresce costantemente è l’apparato statale», così constata la NZZ, che cita i dati diffusi dall’ufficio russo per la statistica: nella regione c’è attualmente un dipendente statale ogni 71 abitanti. Nel 2013 il rapporto era ancora di uno ogni 115 abitanti.
Come ricorda il quotidiano, l’entusiasmo dei russi per l’annessione si è «notevolmente raffreddato». Lo dimostra del resto il tasso di approvazione per il presidente, «in calo da mesi». Mentre nel corso del 2018 il reddito disponibile dei cittadini è nuovamente sceso, e questo per il quinto anno consecutivo, all’inizio di quest’anno sono aumentate le tasse. Molto contestata è inoltre la riforma pensionistica (con l’innalzamento dell’età pensionabile).
UE: nuova multa di quasi 1,5 miliardi di euro a Google
Per la terza volta in altrettanti anni, la Commissione Europea ha inflitto una supermulta di quasi 1,5 miliardi di euro al colosso americano Google. Secondo Bruxelles, l’azienda con sede a Mountain View, California, ha violato le regole sulla concorrenza e abusato della sua posizione dominante nel campo della pubblicità online.
«Google è stato multato con 1,49 miliardi di euro per pratiche illegali nei servizi di intermediazione pubblicitaria nelle ricerche per consolidare la sua posizione dominante sul mercato», ha scritto in un messaggio su Twitter la commissaria europea per la Concorrenza, la danese Margrethe Vestager. «Non dovrebbe farlo», continua il tweet della Vestager, poiché «ha negato ai consumatori scelta, prodotti innovativi e prezzi equi».
Mentre questa volta la Vestager contesta il sistema AdSense for Search di Google, la multa di 4,3 miliardi di euro inflitta nel luglio del 2018 era per le pratiche illegali relative al noto sistema operativo Android montato su smartphone e tablet. La prima multa, di 2,42 miliardi di euro, inflitta nel giugno del 2017 sempre per «abuso di posizione dominante», riguardava invece pratiche illegali relative al servizio Google Shopping. Va ricordato che il colosso di Mountain View non ha pagato ancora le prime due multe, poiché in entrambi i casi ha presentato appello.
RDC: l’Ebola ha provocato già più di 600 vittime
L’epidemia di Ebola che ha iniziato a diffondersi all’inizio dell’agosto scorso nelle province del Kivu Nord e di Ituri, situate nel nord-est della Repubblica Democratica del Congo (RDC), ha contagiato secondo il ministero della Salute finora 968 persone e provocato 606 vittime. Lo scrive il quotidiano spagnolo El País.
Questo significa anche che quasi due persone su tre che hanno contratto la malattia da virus Ebola («Ebola Virus Disease» o EVD in sigla inglese) sono decedute. Come ricorda la fonte, si tratta dell’epidemia più letale registrata nel Paese e la seconda per numero di morti e casi, dopo quella scoppiata nell’Africa Occidentale nel 2014 (le vittime erano almeno 11.300 e le persone contagiate 28.500) Il nome della malattia e del virus deriva dall’omonimo fiume e valle, dove si sviluppò nel 1976 uno dei primi due focolai.
Come spiega a sua volta il quotidiano Le Monde, ad ostacolare la lotta contro il virus altamente letale è il fatto che l’Ebola è diventata nella RDC una «malattia politica», con tutte le conseguenze, sia per le persone colpite dal virus, sia per le organizzazioni impegnate sul campo. Solo pochi giorni prima delle elezioni presidenziali del 30 dicembre scorso, la CENI (Commissione Elettorale Nazionale Indipendente) aveva infatti annunciato che gli abitanti di Butembo e Beni, nella provinci Kivu Nord, non potevano partecipare al voto anche a causa della «persistenza dell’epidemia». Da questo annuncio è originata la percezione che il tutto fosse solo una scusa del regime dell’allora presidente Joseph Kabila per impedire il voto e che l’Ebola non esistesse, scrive il quotidiano.
In seguito alla decisione della CENI, «32 centri sanitari sono stati attaccati nella città di Beni», ricorda Le Monde. E il 23 e 27 febbraio scorsi, uomini armati hanno attaccato due centri di cura contro l’Ebola a Butembo, facendo fuggire le persone in terapia e costringendo l’ONG Medici Senza Frontiere a sospendere l’attività.