Slovacchia: Zuzana Caputova diventa la prima donna presidente del Paese
Zuzana Caputova ce l’ha fatta. L’avvocatessa ed ambientalista 54enne si è imposta infatti nel turno di ballottaggio, che si è svolto sabato 30 marzo nella Slovacchia, diventando la prima donna a essere eletta alla presidenza del Paese dell’Europa centro-orientale. La Caputova, soprannominata anche la «Erin Brockovich slovacca», come ricorda Avvenire, e leader del movimento «Slovacchia progressiva», ha conquistato nel secondo turno il 58,4% dei voti, battendo nettamente il vicepresidente della Commissione europea e candidato del partito Smer SD (al potere), Maros Sefcovic, il quale ha ottenuto il 41,6% dei voti. Solo il 42% dell’elettorato si è recato alle urne, osserva la Süddeutsche Zeitung.
La Caputova, nota per aver guidato la mobilitazione popolare dopo l’omicidio del giornalista Jan Kuciak, ucciso nel febbraio del 2018 insieme con la fidanzata, mentre stava indagando sui legami tra la politica e la malavita, incarna secondo Le Figaro la «sete di rinnovamento in un Paese afflitto dalla corruzione». Come spiega a sua volta BBC, la Caputova ha inquadrato la sua campagna «come una lotta tra il bene e il male». Per La Croix, una delle sue principali promesse è di «ripristinare l’integrità della classe politica».
Se poi ci riuscirà, resta ancora tutto da vedere. La carica presidenziale in Slovacchia è infatti «più che altro cerimoniale», ricorda Avvenire, anche se è responsabile della ratifica dei trattati internazionali, della nomina dei magistrati di alto livello, inoltre comandante in capo delle forze armate e può infine porre il veto alle leggi approvate dal parlamento, come spiega a sua volta la Deutsche Welle.
Ucraina: l’attore e comico Zelenskiy andrà al ballottaggio delle presidenziali
In Ucraina, il comico Volodymyr Zelenskiy andrà assieme con Pedro Porošenko al turno di ballottaggio delle presidenziali. Come riferisce Reuters, con tre quarti delle schede contate, il candidato 41enne ha ricevuto infatti domenica 31 marzo nel primo turno delle elezioni più del 30,5% delle preferenze, quasi il doppio rispetto al secondo classificato, l’attuale presidente Porošenko, che ha conquistato solo 16,6% dei voti. Al terzo posto, e quindi esclusa dal ballottaggio, in programma il 21 aprile, è arrivata l’imprenditrice ed ex premier Yulia Tymošenko, che – al suo terzo tentativo – ha ottenuto appena il 13,2%.
Anche se non è mai stato impegnato attivamente in politica e non ha alcuna esperienza in materia, Zelenskiy «conosce» in un certo senso il mestiere: nella popolarissima serie televisiva «Slouga Naroda» (cioè «Servitore del popolo») ha interpretato infatti il ruolo di un professore di storia eletto alla presidenza dell’Ucraina. Secondo il quotidiano Libération, l’esito del primo turno, anche se solo provvisorio, rappresenta uno «schiaffo clamoroso» per Porošenko, che rappresenta «le élites politiche, irrimediabilmente corrotte».
Secondo Vladimir Fessenko, del centro di studi politici Penta, citato da Libération, ha vinto «il voto di protesta». Le prossime settimane saranno frenetiche, avverte il politologo: Porošenko cercherà di «screditare al massimo il suo avversario», mettendo in evidenza i suoi legami con il controverso oligarca Kolomoyski, con la Russia, o le sue origini ebraiche. Il team di Zelensky invece tenterà di «trasformare le elezioni in un referendum contro Porošenko».
Turchia: l’opposizione si impone nelle grande città
Mentre la formazione del presidente Recep Tayyip Erdogan, il Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP in acronimo turco), parla già di brogli, tutto sembra indicare che nelle elezioni amministrative di domenica 31 marzo il Partito Popolare Repubblicano (la sigla turca è CHP) si è aggiudicato «almeno quattro, se non cinque delle maggiori città del Paese», così riferisce Spiegel Online, che parla della «fine di un mito». Anche se l’AKP di Erdogan rimane la più grande formazione del Paese – assieme con il suo partner MHP (Partito del Movimento Nazionalista) ha ottenuto il 51,7% dei voti, come riporta l’agenzia Reuters –, ha perso ad esempio Izmir (l’antica Smyrna) e anche Antalya (l’antica Attalia).
Particolarmente dolorosa per l’AKP è la cocente sconfitta subita nella capitale Ankara, persa «per la prima volta dalla fondazione del partito nel 2001», come sottolinea Reuters. Brucia inoltre la probabile perdita della più grande città e cuore economico della Turchia, Istanbul, dove il candidato dell’opposizione, Ekrem Imamoglu, è in testa con 4.159.650 voti, rispetto alle 4.131.761 preferenze ricevute dal rivale dell’AKP, Binali Yildirim, così riferisce il sito Al Jazeera. L’ascesa al potere di Erdogan era iniziata proprio a Istanbul: è stato sindaco della metropoli dal 1994 al 1998. Yildirim è del resto un fedelissimo di Erdogan: è stato primo ministro dal 2016 al 2018. Secondo la Neue Zürcher Zeitung, i risultati sono senz’altro un «contrattempo» per Erdogan, ma non cambieranno «i veri rapporti di potere nel Paese».
Nicaragua: continua la repressione nonostante l’accordo raggiunto venerdì
Nonostante un accordo raggiunto venerdì 29 marzo tra il governo del presidente Daniel Ortega e l’opposizione riunita nell’Alleanza Civica per la Giustizia e la Democrazia, continua la repressione nel Paese dell’America Centrale. Come riportano i media locali, fra cui La Prensa, le forze di sicurezza e dei simpatizzanti filogovernativi nella giornata di sabato hanno attaccato violentemente alcuni oppositori, che manifestavano pacificamente nella capitale Managua. Un paramilitare infiltrato tra i dimostranti ha ferito con un’arma da fuoco tre manifestanti.
La repressione è avvenuta appena 24 ore dopo l’accordo tra il governo e l’opposizione extraparlamentare per «rafforzare» i diritti e le garanzie dei cittadini, annunciato venerdì 29 marzo, come scrive il quotidiano ABC. L’accordo ristabilisce (almeno in teoria) «il diritto di riunione, dimostrazione e mobilitazione pubblica, vietato dalla polizia nazionale dallo scorso settembre» e riconosce il diritto di utilizzare la bandiera nazionale, «simbolo delle proteste per l’opposizione». I manifestanti partecipavano sabato proprio ad una cosiddetta «sentada nacional», che consiste in piccoli picchetti o «sit-in», durante il quale viene esibita la bandiera e cantata la canzone «Nicaragua, Nicaragüita».
La Chiesa ha condannato la violenza. «È una cosa indegna che ancora un’altra volta in Nicaragua, la polizia e civili violenti aggrediscano fisicamente, detengano e feriscano i civili che manifestano pacificamente», così ha dichiarato una delle voci più autorevoli della Chiesa locale, il vescovo ausiliare di Managua, monsignor Silvio Báez, citato dall’agenzia Fides.
Scozia: l’idrogeno conquista le isole Orcadi
Sembra quasi uno scherzo – un «pesce d’aprile» –, ma non lo è. Situato al largo della costa settentrionale della Scozia, l’arcipelago delle Orcadi, che sulla piccola isola di Flotta ospita un grande terminale petrolifero per il greggio proveniente dalle piattaforme del Mare del Nord, sta vivendo ciò che si potrebbe definire una «transizione energetica verde». Le Orkney (come l’arcipelago si chiama in inglese), note per l’insediamento neolitico di Skara Brae e per la presenza di una piccola chiesa costruita e abbellita da prigionieri di guerra italiani, puntano infatti sull’idrogeno.
Come racconta BBC News (28 marzo), la decisione della popolazione delle isole, costituita da 21.000 abitanti, di cui quasi la metà vive nei due maggiori centri, entrambi situati sull’isola principale di Mainland, Kirkwall (con la cattedrale di San Magnus, le cui origini risalgono al XII secolo) e Stromness, di basare la loro economia sull’idrogeno (il primo elemento della tavola periodica di Mendeleev), è stata presa nel 2016.
Grazie all’energia eolica, quella delle onde e delle maree, utilizzata del resto per la scomposizione dell’acqua in ossigeno e idrogeno, le Orcadi producono attualmente più energia verde di quanto serve. L’impiego dell’energia ad emissioni zero, non fossile e non inquinante, non si limita alle macchine elettriche (le Orkney hanno una delle più alte densità di macchine elettriche di tutto il Regno Unito); se tutto va secondo i piani, così scrive il sito della BBC, nel 2021 entrerà in servizio il primo traghetto alimentato ad idrogeno. Sull’isola di Eday, dove funziona dal 2017 un impianto per la scomposizione di acqua (o elettrolisi; un secondo è in costruzione sull’isola di Shapinsay), l’European Marine Energy Centre (EMEC) prova nuove turbine per recuperare l’energia detta «mareomotrice».
Va ricordato che esistono anche già treni che corrono su idrogeno. Nel settembre scorso è partito nel Land tedesco della Bassa Sassonia il primo regolare servizio con treni alimentati a idrogeno tra le città di Cuxhaven, situata sul Mare del Nord, e Buxtehude. I primi due convogli Coradia iLint, che possono percorrere circa mille chilometri prima di dover fare rifornimento e raggiungere una velocità massima di 140 km/h, sono stati costruiti dal colosso francese Alstom.