Anche se tutte le esperienze religiose si possono spiegare a livello psicologico e neurologico, ciò non mette a tacere la domanda sulla verità che ci sia un Dio al di là di noi e della nostra soggettivitàLe diverse scienze della religione non studiano l’esistenza o l’inesistenza di Dio, ma il fatto religioso e l’esperienza religiosa, l’essere umano e la sua esperienza religiosa, a livello antropologico, storico, sociologico o psicologico, per dar conto a livello interdisciplinare della ricchezza della religione in tutte le sue manifestazioni. Ma non ci dicono nulla sulla realtà di Dio.
Il tema religioso appare anche come oggetto di studio delle neuroscienze. Negli ultimi anni sono stati pubblicati articoli di divulgazione scientifica con titoli come “Dio nel cervello?” o “Troviamo il neurone di Dio!”, come se si fosse trovato Dio con le neuroscienze. C’è anche chi parla di “neuroteologia”, che in realtà è una neuropsicologia della religione, perché studia le correlazioni cerebrali con le esperienze religiose.
È vero che molti studi hanno dimostrato gli effetti salutari della religiosità e della vita spirituale nelle persone, distinguendole dalle forme patologiche di vivere la religione, ma c’è chi in questa correlazione hanno preteso di trovare nel cervello umano le “aree religiose”, anche se, in contrasto con queste visioni, altri autori spiegano che le aree che si attivano nell’esecuzione degli atti religiosi sono coinvolte anche in altre attività intellettuali o artistiche.
Ciò che è certo è che è troppo azzardato affermare che attraverso la pura osservazione dell’attività cerebrale si possa dimostrare la dimensione spirituale dell’essere umano, e men che meno l’esistenza o meno di Dio. In ogni caso, si può dimostrare l’esistenza di basi sensibili delle tendenze religiose e sapere cosa succede nel cervello quando si vivono certe esperienze particolari collegate alla vita spirituale.
Alcuni teologi cristiani sono giunti a conclusioni affrettate partendo dall’entusiasmo nei confronti delle neuroscienze, come se potessimo spiegare a partire dall’evoluzione biologica e concretamente nel cervello umano la capacità di trovare Dio e di relazionarci con Lui. E di fatto iniziano ad apparire pubblicazioni che confondono le prove a cui giungono le neuroscienze con conclusioni teoriche che non si deducono dalle ricerche, come se fossero prove inconfutabili.
Non troveremo Dio nel cervello
L’esistenza di Dio si potrà discutere in filosofia o in teologia, ma non possiamo giungere ad affermare o negare la sua esistenza partendo dalle scienze sperimentali, o da quello che accade all’essere umano, né a partire dalle sue convinzioni o esperienze religiose. Molti dei titoli delle riviste di divulgazione scientifica, riguardo allo studio della vita spirituale nel contesto delle neuroscienze, confondono lo studio dell’essere umano con quello dell’esistenza di Dio.
Una cosa è lo studio della religione come fenomeno umano, se c’è bisogno di credere in un modo o nell’altro, se sperimentiamo la fede in qualche modo, e un’altra questione molto diversa è la verità sull’esistenza di Dio.
Molti degli ateismi che riducono la religione a un sentimento o a un’esperienza soggettiva dimenticano domande metafisiche fondamentali: e se fosse vero che esiste Dio? Se al di là di tutte le nostre imprese, dei nostri progetti e delle nostro esperienze ci fosse un Dio? Tutto si riduce a materia o c’è una realtà trascendente? Il fatto di ridurre tutto a pura biologia, psicologia o mera soggettività personale fa dimenticare la domanda sulla verità di ciò che esiste al di là di noi, indipendentemente da quello che possiamo trovare nella biologia, nella fisica o nella chimica.
Va sottolineato che, anche se tutte le esperienze religiose si possono spiegare a livello psicologico e neurologico, questo non mette a tacere la domanda sulla verità dell’esistenza di un Dio al di là di noi e della nostra soggettività.
La confusione in cui molti incorrono fa sì che Dio finisca per essere omologato a un’“energia”, un
“gene” o un’“area del cervello”. Se Dio si trovasse davvero in qualche area del nostro cervello non sarebbe Dio, ma un dio inventato, una mera finzione dell’immaginazione umana.
Confondere l’esperienza umana che si vive nei diversi atti religiosi con Dio è come pensare che l’amore che provo per una persona sia la persona stessa.
L’origine dell’idea di Dio non si trova nel cervello, motivo per il quale l’espressione “neurone di Dio” non ha troppo senso. E anche se trovassimo un tipo particolare di neuroni che si attivano solo nelle attività religiose, è un ragionamento sbagliato confondere le aree cerebrali attivate durante un’esperienza religiosa con un presunto luogo di Dio nel cervello.
Bibliografia:
Franck, J.F. (2018). ¿Somos o no somos nuestro cerebro?, Rosario: Logos.
Sanguineti, J.J.. El desafío antropológico de las neurociencias: Neurociencias, filosofía y teología, Conferenza all’Universidad Católica San Pablo, Arequipa, 3 settembre 2012.