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3 giovani sacerdoti missionari: “è Dio che piano piano li prende. Noi li incoraggiamo”

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Fraternità San Carlo Borromeo - pubblicato il 09/05/19
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In Spagna nella città più giovane d’Europa la loro missione è servire la santità delle famiglie.di Emma Neri

È piena di bambini, Fuenlabrada: spuntano dietro ogni angolo, giocano tra i casermoni, corrono fuori dalle scuole che affollano la città. Siamo in uno dei comuni più giovani d’Europa: oltre un quarto degli abitanti è in età scolare. E forse non è un caso se giovani sono anche i preti che la Fraternità san Carlo ha destinato alla missione in Spagna: poco più di un secolo in tre. Il parroco, don Tommaso Pedroli, è qui dal 2013. 34 anni, come don Giuseppe Cassina, viceparroco e responsabile del catechismo, arrivato tre anni e mezzo fa. Il più vecchio – si fa per dire – è don Stefano Motta, 36 anni, professore di Religione e cappellano presso la scuola Kolbe, a Villanueva de la Cañada. È in Spagna dal 2015. A loro, da pochi mesi, si è aggiunto il diacono Francesco Montini. Tutti lombardi: vengono da Varese, Meda, Seveso e Brescia.


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“Questa casa è composta da persone che sono alle prime armi” ammette don Pedroli. “Per questo c’è una grande disponibilità, un desiderio di imparare, anche una grande leggerezza. E la consapevolezza di costruire una cosa bella, in un certo senso anche nuova”. Che vuol dire anche un rapporto nuovo e fecondo con la comunità. Hanno uno stile personale e inconfondibile, i sacerdoti della parrocchia San Juan Bautista. Si traduce in pochi gesti che raccontano la particolare energia che si respira. Tommaso li elenca volentieri: “Il lunedì c’è l’incontro della casa, un momento di verità assoluta che viviamo con grande libertà”. Poi, il pranzo assieme, salvo eccezioni, dal lunedì alla domenica. “Quando ci invitano a cena, cerchiamo di portare anche gli altri, come proposta per tutti. Le persone percepiscono questa unità. È molto bello quando qualcuno ti invita, tu accetti e lui dice: ‘In quanti venite, allora? Tre, quattro, due?’”. Insieme, ricorda don Motta, “si concelebra la messa del lunedì sera. E cerchiamo di fare in modo che l’agenda di ognuno sia sempre condivisa con gli altri”.


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Compagni di strada

Juana è arrivata a Fuenlabrada anni fa, in cerca di lavoro. Qualcuno l’ha invitata in chiesa. Oggi dà una mano con i ragazzi delle medie. “Venivo da una parrocchia dove facevo tante cose ma nessuno mi aveva mai chiesto: ‘Come stai?’. Con Tommaso è nata un’amicizia e adesso questa è la mia famiglia. I preti? Hanno un grande desiderio di portare Dio alle persone del quartiere, ai più vicini come ai più lontani. Il loro modo di farlo mi arriva al cuore”.

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Mercedes è farmacista in ospedale, vive a Madrid. È arrivata qui nel 2013, grazie all’incontro con don Juan Luis Barge. “La mia mamma all’inizio era scioccata, aveva paura. La spaventava il concetto Fuenlabrada: tanti immigrati, una città povera, forse pericolosa”. Cambia idea quando assiste a un concerto di Natale: “Mi è rimasta impressa la sua faccia” ricorda. “Non si è più lamentata”. Che cosa hanno di speciale in questa parrocchia? “C’era un libretto della San Carlo, Per la gloria di Cristo. Ecco la loro particolarità: si fa tutto con quello nello sguardo. E si vede. E si vive”. Carmen è all’ottavo mese di gravidanza. Una bellissima pancia, quella che ospita Lucia. Distrutta da tre aborti spontanei, racconta, si è trovata “nella notte più oscura della vita”. Poi Tommaso le racconta la storia di Chiara Corbella: “Dove non arrivavano i preti” dice oggi “arrivò Chiara. Mi aggrappai a lei”.



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Una visita alla chiesa, ai segni tangibili che tanti sacerdoti in 23 anni hanno lasciato, non solo nei cuori dei fedeli, porta alla luce la trama sotterranea della storia che attraversa e arricchisce la missione: dalla bella statua della Madonna portata da Julián de la Morena, agli amboni ristrutturati da don Antonio Anastasio, ai banchi di legno che ancora sembrano nuovi. “Oggi vediamo i frutti di quello che loro hanno seminato” continua Tommaso. “Significa che non vedremo i frutti del nostro lavoro. I tempi sono lunghi, lunghissimi. Qui a Fuenlabrada ho imparato la pazienza”. E la esercita anche attraverso una cura amorevole per i particolari: l’attenzione alla liturgia, il coro polifonico guidato con passione da un italiano, Michele, la disposizione dei fiori sull’altare, la splendida acquasantiera in ceramica realizzata da un artigiano lombardo.

Padri e figli

Oggi è il giorno del battesimo per alcuni bambini che tra qualche mese faranno la prima comunione. Presiede la messa don Giuseppe Cassina ma i preti sono tutti schierati, chi sull’altare, chi a governare la cerimonia, chi ad accogliere le persone che arrivano. Funziona così, da queste parti: tutti fanno tutto. O meglio, come precisa il parroco “viviamo sotto gli occhi dei fratelli. Condividiamo la coscienza di essere stati mandati insieme”. Il risultato è un clima di letizia e complicità: ci si guarda, ci si corregge con grande libertà, ci si aiuta. La mattina è iniziata con le Lodi, nella piccola cappella della casa: un momento di preghiera e silenzio che apre ogni giornata.

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Poi, la colazione insieme, almeno il fine settimana: bastano pochi minuti per riprendere le questioni più urgenti. E c’è spazio anche per uno scherzo, una risata. È un giorno di festa e, come dice don Cassina, “la domenica per me è una gioia, con i piccoli incontri e le storie che i genitori ti raccontano”. La chiesa è strapiena di bambini e famiglie, pervasa da un calore che fa quasi dimenticare il freddo, in agguato tra le pareti tirate su alla buona, negli spifferi che si infilano sotto le lamiere del tetto.



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Quando è arrivato, racconta don Giuseppe, pensava di non essere adatto al lavoro con i bambini. Lui è cresciuto a Meda, in una fraternità di famiglie che passavano insieme tutti i sabati: “C’era tanta gente che a volte non sapevo più di chi ero figlio…”. In seminario prima, in Spagna adesso, si sente chiamato a “servire la santità di queste famiglie”. Non occorrono grandi strategie per capire che c’è un legame tra l’amicizia con i bambini e il rapporto con i genitori. Sono storie bellissime: quella del mangiapreti, per esempio. Trascinato dal figlio che frequenta il catechismo, si sposa in chiesa, fa la prima comunione e tiene a bada la moglie che non si capacita del nuovo chierichetto che si ritrova in casa. Oppure quella del bambino Miguel che, mentre cammina con la mamma, improvvisamente si ferma e dice: “Io credo in Dio”. Seconda elementare. E va a finire che lei, per non essere da meno, organizza con la parrocchia una uscita per le famiglie. Si ritrovano in venti, più i bambini, per un week end nella sierra. C’è anche il padre di Miguel, c’è la signora dei prosciutti. “Tutti i mesi ci dà 80 euro di alimenti” racconta Francesco, 37 anni, il diacono che segue la Caritas.

“Da quando ci sono stati gli attentati a Madrid, nel 2004, e le sue figlie si sono salvate, lei ringrazia Dio con questo gesto di carità”. Ci sono Rocìo e Juan [questi e tutti gli altri sono nomi di fantasia, ndr] che hanno una figlia al catechismo. La mamma resta incinta e a novembre nasce il bambino. Così lei, che in chiesa non mette mai piede, passa per dare il lieto annuncio. “E dopo il cenone di Natale, che qua è sacro” ricorda Cassina, “viene a farci gli auguri: sono cose piccole, però Dio piano piano li prende. Il nostro compito è accoglierli e incoraggiarli”.
Sono tanti i battesimi che si celebrano a San Juan Bautista, tantissime le comunioni, una ventina le cresime e nemmeno un matrimonio. Però il corso fidanzati, pubblicizzato anche sul web, va alla grande. L’aula che accoglie le coppie è luminosa: don Giussani sorride nella gigantografia che campeggia dietro la cattedra.



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Le coppie entrano alla spicciolata, si tengono per mano, si guardano intorno curiose: sono professionisti, studenti, operai. Qualcuno arriva da Madrid, magari mandato da un amico. Quasi tutti già convivono, in molti hanno bambini. E anche se si sposano altrove, qualcuno torna poi a battezzare i figli. È una giornata intensa, ma forse a Fuenla sono tutte così. In un fine settimana di fuoco, c’è spazio per molte cose: i giochi e i canti dei Cavalieri, la cena e l’assemblea dei ragazzi di Gs, la Scuola di cristianesimo per adulti. Don Tommaso la definisce via pulchritudinis, “un’introduzione al cristianesimo come noi lo intendiamo – un’esperienza, una pienezza di vita, la figura di Cristo – attraverso la bellezza. Un luogo per tutti, senza abbassare il livello”.
Non abbiamo usato ancora la parola amicizia, anche se è la più facile e adeguata per raccontare quello che succede in questa periferia del mondo. “La casa è il luogo che amo perché ci sono loro” riassume Stefano con semplicità. E dice tante cose sul sentimento che lega tra loro chi abita qui, quel “desiderio di accompagnarsi nel crescere del rapporto con Gesù”. Un’emozione e un giudizio che si allargano a tutti. Anche a José, un ragazzino dagli occhi inquieti: “Avevo un vuoto dentro che cercavo di riempire bevendo e prendendo cose strane. Ma quel vuoto era così grande che niente bastava. Poi la gente di qui mi ha fatto sentire amato in un modo che non avevo mai provato”.

QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE PUBBLICATO DA FRATERNITÀ SAN CARLO

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