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Le lettere di San Paolo hanno lo stesso valore dei Vangeli?

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Toscana Oggi - pubblicato il 12/05/19
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Pur facendo parte del canone della Bibbia, le lettere di Paolo, Pietro, Giacomo e Giovanni vengono considerati meno dei vangeli?Anche le lettere di San Paolo, ovviamente, sono Parola di Dio. Mi chiedo però se abbiano lo stesso valore dei Vangeli; anche la loro proclamazione, durante la Messa, è meno solenne e affidata ai laici, a differenza del Vangelo. Non potrebbero essere assimilati a un primo esempio di Magistero della Chiesa?

Piero Casetti

Risponde don Filippo Belli, docente di Sacra Scrittura alla Facoltà teologica dell’Italia Centrale.

La prima attestazione dell’importanza delle lettere di Paolo è antichissima e contenuta nel Nuovo Testamento stesso. San Pietro nella sua Seconda Lettera infatti afferma:  «La magnanimità del Signore nostro consideratela come salvezza: così vi ha scritto anche il nostro carissimo fratello Paolo, secondo la sapienza che gli è stata data, come in tutte le lettere, nelle quali egli parla di queste cose. In esse vi sono alcuni punti difficili da comprendere, che gli ignoranti e gli incerti travisano, al pari delle altre Scritture, per loro propria rovina», (2Pt 3,15-16). Il Principe degli apostoli ci avverte così di alcune cose. Innanzitutto che le lettere di Paolo erano conosciute nelle prime comunità cristiane. Esse poi sono ritenute piene di una «sapienza che gli è stata donata». Sono anche difficili e alcuni le travisano. Ma soprattutto questo testo di Pietro ci segnala che esse sono considerate fin dall’inizio «al pari delle altre Scritture». Un titolo, quest’ultimo, di estrema importanza, riservato alle Sante Scritture di Israele.

Certo, l’attribuzione della 2Pietro al famoso apostolo è molto discussa. In ogni caso, è significativo che uno dei primi testi cristiani, considerato dalla Chiesa canonico, si sia così espresso riguardo all’epistolario paolino. È una prima indicazione del carattere particolare di tale epistolario. Se a questo si aggiunge l’indiscusso utilizzo nella liturgia da parte delle diverse Chiese degli scritti paolini e l’ininterrotta loro presenza nel canone delle Scritture, dobbiamo ritenere che essi siano stati fin dagli inizi accolti e letti come Parola di Dio. È il motivo per il quale, al termine della lettura apostolica durante la liturgia, pur essendo chiaro che si tratta di uno scritto dell’apostolo Paolo, il lettore afferma, chiedendo l’assenso alla assemblea, che essa è «Parola di Dio».

Riguardo all’importanza dei Santi Vangeli rispetto alle lettere di Paolo il Concilio Vaticano II nella sua Costituzione Dei Verbum, così si pronuncia: «A nessuno sfugge che fra tutte le Scritture, anche quelle del Nuovo Testamento, i Vangeli possiedono una superiorità meritata, in quanto costituiscono la principale testimonianza relativa alla vita e alla dottrina del Verbo incarnato, nostro Salvatore» (DV 18). La liturgia, come ricorda il lettore, ce lo segnala soprattutto con la solennità con cui è accompagnata la proclamazione della pagina evangelica (canto al vangelo, incenso, lettore qualificato, ecc.).

Tuttavia non si può considerare l’epistolario paolino come un semplice, quantunque primo, esempio di Magistero della Chiesa. In quanto Parola di Dio gli scritti di San Paolo, sono – come tutte le Scritture – fondanti e originanti qualsiasi magistero della Chiesa.

Indubbiamente il loro valore consiste nel loro rapporto con il Vangelo. Da questo punto di vista tutti gli scritti del Nuovo Testamento che non sono vangeli, «composti per ispirazione dello Spirito Santo, per sapiente disposizione di Dio, confermano tutto ciò che riguarda Cristo signore, spiegano ulteriormente la sua dottrina autentica, fanno conoscere la potenza salvifica dell’opera divina di Cristo, narrano gli inizi della Chiesa e la sua mirabile diffusione nel mondo e preannunziano la sua gloriosa consumazione» (DV 20).

Ma occorre anche mettere in luce il fatto che quando parliamo di Vangelo, quest’ultimo va inteso non solo come scritto canonico, ma più propriamente come dinamica rivelativa del definitivo progetto di Dio sulla storia e su ogni persona. Il Vangelo, allora, comprende non solo la vita e le parole di Gesù, ma anche la loro prima trasmissione a tutte le genti. A questo riguardo la vita, il ministero e gli scritti dell’Apostolo Paolo risultano fondativi e parte della rivelazione definitiva di Dio in Cristo. La Parola ultima e definitiva di Dio si realizza pienamente quando essa in qualche modo raggiunge tutti gli uomini. Questo avviene – tendenzialmente e simbolicamente – nel ministero apostolico al quale Dio ha assimilato anche Paolo. Non a caso San Luca lega strettamente il suo Vangelo con il racconto di Atti. Questo legame significa che l’annuncio del Vangelo è parte del Vangelo stesso.

Ora, occorre in qualche modo limitare questo periodo per non lasciarlo indefinito e perché possa essere paradigmatico per ogni tempo e ogni stagione della Chiesa (canonico, ovvero come norma per tutti i tempi). Per volontà di Cristo, attraverso lo Spirito che guida da sempre la Chiesa, il mandato apostolico – «fate discepole tutte le genti» – è parte della sua rivelazione, della Parola unica e definitiva di Dio e termina in qualche modo come si usava dire «alla morte dell’ultimo apostolo». Agli scritti (e agli autori) legati a questo momento primario e sorgivo della fede e della vita della Chiesa, Dio ha assegnato il dono particolare dell’ispirazione, di modo che essi risultino veramente Sua Parola riconosciuta dalla Chiesa come tale.

Si può dire, quindi, che il Vangelo di Gesù non è riducibile al suo messaggio e alla sua vita, ma più ampiamente è il fatto che Egli si è dato a noi interamente non solo nella sua vita terrena, ma quanto più nel suo nuovo modo di presenza da Risorto con il dono dello Spirito, in modo da raggiungere tutti gli uomini. Questo dinamismo del Vangelo, chiamato a raggiungere tutti i confini della terra, spiega l’importanza del periodo apostolico come unico e irripetibile, fondamento di tutta la vita e la missione della Chiesa.

Il Magistero della Chiesa, invece, fondato sulla Parola di Dio perenne, ha una funzione di custodia, per la quale – come afferma la Dei Verbum – «piamente ascolta, santamente custodisce e fedelmente espone quella parola, e da questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che che propone a credere come rivelato da Dio». (DV 10).

Qui l’articolo pubblicato su Toscana Oggi

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