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Gender, pubblicato “Maschio e femmina li creò”, documento della Congregazione per l’Educazione Cattolica

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Giovanni Marcotullio - pubblicato il 10/06/19
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È stato firmato alla Candelora, ma solo questo pomeriggio viene pubblicato: il pronunciamento curiale sulle ricadute pedagogiche delle “colonizzazioni ideologiche” che più volte Papa Francesco ha stigmatizzato come “un errore della mente umana” esorta ad andare incontro a tali sfide in un’ottica di dialogo. Capiamo come e perché.

È stato appena pubblicato e reso noto, quest’oggi, il documento “Maschio e femmina li creò”, della Congregazione per l’Educazione Cattolica (CEC), «per una via di dialogo sulla questione del gender nell’educazione». Trattandosi di un testo dedicato, fra le altre cose, alla cura parentale, le firme del Prefetto (il cardinale Giuseppe Versaldi) e del Segretario (l’arcivescovo Angelo Vincenzo Zani) sono state apposte al documento nella Festa della Presentazione del Signore al Tempio, ossia il 2 febbraio 2019.


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Si tratta di poco più di cinquantamila battute, parliamo quindi di un testo relativamente snello (anche le note non arrivano alla settantina) che intende affrontare «una vera e propria emergenza educativa, in particolare per quanto riguarda i temi dell’affettività e della sessualità» (1):

Il disorientamento antropologico che caratterizza diffusamente il clima culturale del nostro tempo ha certamente contribuito a destrutturare la famiglia con la tendenza a cancellare le differenze tra uomo e donna, considerate come semplici effetti di un condizionamento storico-culturale.

Lo spazio di un dialogo

Il tono dell’Introduzione, come si vede, è netto al punto da non lasciar intravedere lo spazio del “dialogo” di cui nel sottotitolo: le tre prime citazioni annotate in calce sono da un Discorso papale ai membri del corpo diplomatico del 2011, dunque di Benedetto XVI; dall’esortazione apostolica postsinodale Amoris Lætitia del 2016, di Papa Francesco, e di svariati punti della “teologia del corpo” di Giovanni Paolo II (Familiaris Consortio, Gratissimam sane e l’udienza dell’8 aprile 1981). Senza tema di spoilerare troppo, mi sento di dire che il fine del documento sembra essere precisamente quello di aprire (e con ciò descrivere, ma anche in certa misura circoscrivere) uno spazio di dialogo sul gender. Perché farlo, come farlo e come non farlo sono tre fra i titoli salienti sotto cui può essere rubricata la materia del documento. Quale che sia la loro pars, i rapsodici compulsatori del Magistero pontificio – specie quelli che dragano i testi alla ricerca delle parole-chiave di loro interesse – resteranno facilmente delusi dal contenuto: trenta pagine sul gender e neppure una volta fa capolino non dico la parola “gay”, ma neppure la versione sdoganata “omosessuale” (e affini). Nessuno s’illude che basti una simile inezia per convincere gli uni e gli altri che il documento non introduce alcuna eversione nella dottrina cattolica – visceralmente paventata dai primi e bramata dai secondi –: ognuno di loro canterà la canzone che aveva già deciso di cantare, tentando di arrangiarla sul motivo di “Maschio e femmina li creò”. Questo documento è scritto per gli altri, cristiani o no che siano: per gli uomini di mente e cuore aperti.



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Lo scritto è diviso in tre parti rispettivamente assommate sotto i tre titolini di “ascoltare”, “ragionare” e “proporre”, precedute da una “introduzione” e seguite da una “conclusione”. Difficile pensare una dispositio più tradizionale e (oserei dire) classica.

Fin dall’Introduzione il lettore resta colpito dall’insistenza dei Curiali sulla sessualità come “componente fondamentale della personalità”, e propone una precisa dichiarazione di intenti:

La Congregazione per l’Educazione Cattolica, nell’ambito delle sue competenze, intende ora offrire alcune riflessioni che possano orientare e sostenere quanti sono impegnati nell’educazione delle nuove generazioni ad affrontare con metodo le questioni oggi più dibattute circa la sessualità umana, alla luce della vocazione all’amore a cui ogni persona è chiamata.

Scartando insieme sia quanti negano che esista una “ideologia del gender” sia quanti mettono sotto alla sola parola “gender” ogni possibile «errore della mente umana», quasi come fa col classico tappeto chi svogliatamente spazzi il pavimento, la CEC afferma nettamente l’esistenza della suddetta ideologia e la distingue da quanto con essa sta nel più vasto orizzonte dei “gender studies”:

Nell’intraprendere la via del dialogo sulla questione del gender nell’educazione è necessario tener presente la differenza tra l’ideologia del gender e le diverse ricerche sul gender portate avanti dalle scienze umane. Mentre l’ideologia pretende, come riscontra Papa Francesco, «di rispondere a certe aspirazioni a volte comprensibili», ma cerca «di imporsi come un pensiero unico che determini anche l’educazione dei bambini» e quindi preclude l’incontro, non mancano delle ricerche sul gender che cercano di approfondire adeguatamente il modo in cui si vive nelle diverse culture la differenza sessuale tra uomo e donna. È in relazione con queste ricerche che è possibile aprirsi all’ascolto, al ragionamento e alla proposta (6).

Il capitolo “ascoltare” è canonicamente diviso, anch’esso, in tre paragrafi, rispettivamente intitolati “breve storia”, “punti d’incontro” e “criticità”: basta scorrerli per capire che in essi si sviluppa prima una panoramica diacronica del fenomeno (sul piano accademico e del costume), quindi una valorizzazione di alcuni obiettivi comuni con la prospettiva cristiana, infine un’onesta presa di distanza da proposizioni inaccettabili.



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Interessante nel primo paragrafo la disamina analitica del presupposto antropologico dell’ideologia del gender:

Questi approcci convergono nel negare l’esistenza di un dono originario che ci precede ed è costitutivo della nostra identità personale, formando la base necessaria di ogni nostro agire. Nelle relazioni interpersonali, ciò che conta sarebbe soltanto l’affetto tra individui, a prescindere dalla differenza sessuale e dalla procreazione ritenute irrilevanti nella costruzione della famiglia. Si passa da un modello istituzionale di famiglia – avente struttura e finalità non dipendenti dalle preferenze soggettive individuali dei coniugi – ad una visione puramente contrattualistica e volontaristica (9).

L’affermazione di fondo è che il rifiuto della datità preesistente al darsi di ogni individualità comporterebbe una sorta di solipsismo pratico, i cui sostenitori si trovano a diventare vittime di un sistema «che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie». I punti d’incontro sono invece ravvisati negli stimoli a un riconoscimento (storico e fattivo, storico ma fattivo) dell’uguale dignità di tutte le persone e nel ripudio più netto di «ogni ingiusta discriminazione»:

Un punto di incontro è l’educazione dei bambini e dei giovani a rispettare ogni persona nella sua peculiare e differente condizione, affinché nessuno, a causa delle proprie condizioni personali (disabilità, razza, religione, tendenze affettive, ecc.), possa diventare oggetto di bullismo, violenze, insulti e discriminazioni ingiuste. Si tratta di un’educazione alla cittadinanza attiva e responsabile, in cui tutte le espressioni legittime della persona siano accolte con rispetto.

Un altro punto di crescita nella comprensione antropologica sono i valori della femminilità che sono stati evidenziati nella riflessione sul gender. Nella donna, ad esempio, la « capacità dell’altro » favorisce una lettura più realistica e matura delle situazioni contingenti, sviluppando «il senso e il rispetto del concreto, che si oppone ad astrazioni spesso letali per l’esistenza degli individui e della società». Si tratta di un apporto che arricchisce le relazioni umane e i valori dello spirito « a partire dai rapporti quotidiani tra le persone». Per questo, la società è in larga parte debitrice alle donne che sono «impegnate nei più diversi settori dell’attività educativa, ben oltre la famiglia: asili, scuole, università, istituti di assistenza, parrocchie, associazioni e movimenti» (16-17).

Fra le criticità evidenziate nel documento risalta in particolare l’inattesa (ma neanche troppo) accusa contro il dualismo antropologico di stampo moderno (più cartesiano che platonico, per capirci) che caratterizza certe prospettive:

I presupposti delle suddette teorie sono riconducibili a un dualismo antropologico: alla separazione tra corpo ridotto a materia inerte e volontà che diviene assoluta, manipolando il corpo a suo piacimento. Questo fisicismo e volontarismo danno luogo al relativismo, ove tutto è equivalente e indifferenziato, senza ordine e senza finalità. Tutte queste teorizzazioni, dalle moderate alle più radicali, ritengono che il gender (genere) finisce con l’essere più importante del sex (sesso). Ciò determina, in primo luogo, una rivoluzione culturale e ideologica nell’orizzonte relativista, e in secondo luogo una rivoluzione giuridica, perché queste istanze promuovono specifici diritti individuali e sociali.

Ecco donde sgorga la genuina confusione sui diritti e sui doveri che attanaglia le nostre società e affonda i denti nella crisi educativa di cui si diceva in apertura: si tratta veramente di confusione e tale confusione è veramente genuina, nel senso che non di rado quanti vi sono immersi difettano degli strumenti che permetterebbero loro di riconoscere le fallacie delle prospettive adottate e di emanciparsene. Per questo appunto è necessario dialogare, certo non – come qualcuno teme – per introdurre nell’Educazione Cattolica «progetti educativi e orientamenti legislativi che promuovono un’identità personale e un’intimità affettiva radicalmente svincolate dalla differenza biologica fra maschio e femmina» (22).



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Il capitolo “ragionare” consta di un unico paragrafo – un po’ tautologicamente chiamato “argomenti razionali” – ed è il più breve dei tre perché, a dispetto della scolastica dispositio già illustrata i suoi contenuti appaiono sparsi in tutto il testo. Trovano qui posto dunque i riferimenti ai dati di

scienze biologiche e mediche, secondo cui il “dimorfismo sessuale” (ovvero la differenza sessuale tra uomini e donne) è comprovato dalle scienze, quali, ad esempio, la genetica, l’endocrinologia e la neurologia. Da un punto di vista genetico, le cellule dell’uomo (che contengono i cromosomi XY) sono differenti da quelle della donna (il cui equivalente è XX) sin dal concepimento. Del resto, nel caso dell’indeterminatezza sessuale è la medicina che interviene per una terapia. In queste situazioni specifiche, non sono i genitori né tantomeno la società che possono fare una scelta arbitraria, ma è la scienza medica che interviene con finalità terapeutica, ossia operando nel modo meno invasivo sulla base di parametri obiettivi al fine di esplicitarne la costitutiva identità.

L’unica “indeterminatezza sessuale” a cui si fa riferimento è quella – statisticamente rarissima” – relativa al sesso fenotipico, ossia il cosiddetto “ermafroditismo”. Infatti:

Il processo di identificazione è ostacolato dalla costruzione fittizia di un “genere neutro” o “terzo genere”. In questo modo viene oscurata la sessualità come qualificazione strutturante dell’identità maschile e femminile. Il tentativo di superare la differenza costitutiva di maschio e femmina, come avviene nell’intersessualità o nel transgender, porta ad un’ambiguità maschile e femminile, che presuppone in maniera contraddittoria quella differenza sessuale che si intende negare o superare (25).

Agli argomenti medici la CEC aggiunge i noti rilievi filosofici:

La formazione dell’identità si basa proprio sull’alterità: nel confronto immediato con il “tu” diverso da me riconosco l’essenza del mio “io”. La differenza è la condizione della cognizione in generale, e della conoscenza dell’identità. Nella famiglia il confronto con la madre e il padre facilita il bambino nell’elaborazione della propria identità/differenza sessuale. Le teorie psicoanalitiche mostrano il valore tripolare del rapporto genitori/figlio, asserendo che l’identità sessuale emerge pienamente soltanto nel confronto sinergico della differenziazione sessuale.

Verso un dialogo responsabile

Se il secondo capitolo constava di un unico paragrafo, i due “mancanti” sembrano essere stati riversati nel terzo, giacché il capitolo sul “proporre” individua un primo paragrafo di succinta ricapitolazione dell’“antropologia cristiana” e un ultimo dedicato a “la formazione dei formatori”: tra il primo e il quinto se ne collocano due sulle principali agenzie educative della società civile (“la famiglia” e “la scuola”) e un terzo dedicato a “la società” stessa.

Il dialogo va improntato alla chiarezza:

E il primo passo di questo chiarimento antropologico consiste nel riconoscere che «anche l’uomo possiede una natura che deve rispettare e che non può manipolare a piacere». È questo il fulcro di quella ecologia dell’uomo che muove dal «riconoscimento della peculiare dignità dell’essere umano» e dalla necessaria relazione della sua vita «con la legge morale inscritta nella sua propria natura» (30).

Poiché inoltre l’antropologia cristiana vede integrate «la dimensione verticale della comunione con Dio e la dimensione orizzontale della comunione interpersonale, a cui l’uomo e la donna sono chiamati» (33), diventa

[…] necessario ribadire la radice metafisica della differenza sessuale: uomo e donna, infatti, sono le due modalità in cui si esprime e realizza la realtà ontologica della persona umana. Questa è la risposta antropologica alla negazione della dualità maschio e femmina da cui si genera la famiglia (34).

La famiglia, appunto, nella quale

[…] reciprocità e complementarità tra uomo e donna si realizzano pienamente, precede lo stesso ordinamento socio-politico dello Stato, la cui libera attività legiferante deve tenerne conto e darne il giusto riconoscimento (36).

Il documento ribadisce “due diritti fondamentali” inerenti alla cellula della società:

  1. «Il primo è il diritto della famiglia a essere riconosciuta come lo spazio pedagogico primario per la formazione del bambino» (37).
  2. Il secondo «è quello del bambino “a crescere in una famiglia, con un papà e una mamma capaci di creare un ambiente idoneo al suo sviluppo e alla sua maturazione affettiva […]”» (38).

Alla scuola è richiesto un atteggiamento costruttivo e sussidiario, e questo specialmente alla scuola cattolica, la quale

[…] deve farsi comunità educante nella quale la persona esprime se stessa e cresce umanamente in un processo di relazione dialogica, interagendo in modo costruttivo, esercitando la tolleranza, comprendendo i diversi punti di vista, creando fiducia in un ambiente di autentica concordia. Si instaura, così, la vera «comunità educativa, spazio di convivialità delle differenze. La scuola-comunità è luogo di incontro, promuove la partecipazione, dialoga con la famiglia, prima comunità di appartenenza degli alunni che la frequentano, rispettandone la cultura e ponendosi in profondo ascolto dei bisogni che incontra e delle attese di cui è destinataria ».46 In tal modo le ragazze e i ragazzi sono accompagnati da una comunità che «li stimola a superare l’individualismo e a scoprire, alla luce della fede, che sono chiamati a vivere in maniera responsabile, una specifica vocazione in solidarietà con gli altri uomini» (40).

Il paragrafo dedicato allo «sguardo d’insieme sulla società attuale» si apre con una constatazione di inattesa e salutare durezza:

La trasformazione delle relazioni interpersonali e sociali «ha spesso sventolato la “bandiera della libertà”, ma in realtà ha portato devastazione spirituale e materiale a innumerevoli esseri umani, specialmente ai più vulnerabili. È sempre più evidente che il declino della cultura del matrimonio è associato a un aumento di povertà e a una serie di numerosi altri problemi sociali che colpiscono in misura sproporzionata le donne, i bambini e gli anziani. E sono sempre loro a soffrire di più, in questa crisi» (43).

In tale panorama, al cui centro si staglia imponente la già ricordata emergenza educativa, la CEC riconosce urgente

promuovere un’alleanza sostanziale e non burocratica, che armonizzi, nel progetto condiviso di « una positiva e prudente educazione sessuale »,53 la primaria responsabilità dei genitori con il compito degli insegnanti. Si devono creare le condizioni per un incontro costruttivo tra i vari soggetti al fine di istaurare un clima di trasparenza, interagendo e tenendosi costantemente informati sulle attività per facilitare il coinvolgimento ed evitare inutili tensioni che potrebbero sorgere a causa di incomprensioni per mancanza di chiarezza, informazione e competenza (45).

L’educazione è un incontro fra almeno due libertà, certo, ma questo ne fa il luogo del dialogo, appunto, non dell’arbitrio e dell’invenzione ideologica:

La responsabilità dei dirigenti, del corpo docente e del personale scolastico è quella di garantire un servizio qualificato coerente con i principi cristiani che costituiscono l’identità del progetto educativo, nonché di interpretare le sfide contemporanee attraverso una testimonianza quotidiana fatta di comprensione, obiettività e prudenza. È, infatti, comunemente condiviso che «l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o, se ascolta i maestri, lo fa perché sono dei testimoni». L’autorevolezza dell’educatore si configura, quindi, come la confluenza concreta «di una formazione generale, fondata su una concezione positiva e costruttiva della vita e sullo sforzo costante per realizzarla. Una tale formazione oltrepassa la pur necessaria formazione professionale e investe gli aspetti più intimi della personalità, incluso quello spirituale e religioso» (48).

Perché un simile documento

Leggendo il testo della CEC, insomma, non pare di poter scorgere alcuna “novità” contenutistica rispetto al portato costante del Magistero ecclesiastico (pontificio e non, recente e non): si arriva dunque alla “conclusione” chiedendosi la ragione che ha reso opportuno (ovvero necessario?) un tanto autorevole pronunciamento. Penso che la risposta arrivi proprio in conclusione, quando dopo tutta l’utile e compendiosa ricapitolazione si chiarisce in cosa molto spesso difetti il dialogo “tra Chiesa e mondo” (per dirla con formule in voga qualche decennio fa):

In conclusione, la via del dialogo – che ascolta, ragiona e propone – appare come il percorso più efficace per una trasformazione positiva delle inquietudini e delle incomprensioni in una risorsa per lo sviluppo di un ambiente relazionale più aperto e umano. Al contrario, l’approccio ideologizzato alle delicate questioni del genere, pur dichiarando il rispetto delle diversità, rischia di considerare le differenze stesse in modo statico, lasciandole isolate e impermeabili l’una dall’altra (52).

Si direbbe un modo per ripetere l’ormai noto commento: «Siamo d’accordo sulla sostanza, meno sul metodo». E trattando di educazione il metodo è qualcosa di piuttosto sostanziale. Il gender (almeno nelle sue declinazioni più ideologiche e più acri) è “un errore della mente umana”, come il Santo Padre ha più volte ripetuto: proprio per questo i discepoli di Gesù non possono avere la pretesa di chiamarsi fuori dalle sfide di empatia e di compassione cui la sollecitano quegli innumerevoli viatores che sono gli uomini del nostro tempo. Come noi, del resto.

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