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Le foto della prima Messa celebrata a Notre-Dame dopo l’incendio

Mgr Michel Aupetit

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Giovanni Marcotullio - pubblicato il 15/06/19
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Sta terminando in questi minuti la celebrazione eucaristica presieduta dall’Arcivescovo di Parigi nell’anniversario della dedicazione della chiesa cattedrale: «Quest’anno siamo in pochi, qui dentro, ma a quanto pare sono milioni di persone a seguire i divini misteri che celebriamo». E nell

Stiamo celebrando l’eucaristia quest’oggi, dopo tutto quanto le è accaduto, per dare un segno che la cattedrale è sempre viva.

Elmetto bianco calcato sul capo, casula bianca con fregi di un bel celeste mariano. Così l’arcivescovo di Parigi, mons. Michel Aupetit, ha introdotto tra una ventina di presenti la messa nell’anniversario della dedicazione della chiesa cattedrale. Le macerie all’intorno e le immagini di KTO, televisione cattolica d’Oltralpe, a raccontare in esclusiva il sussulto umile e fermo di una Chiesa che è apparsa ben più viva di quanto comunemente si creda.

Limitata nello spazio per evidenti ragioni, a causa delle medesime la liturgia è stata raccolta anche nei tempi – il che non ha impedito il massimo decoro nei canti e nella liturgia (tocco di non sgradevole imprecisione nel salmista che ha intonato l’alleluia come se non fosse prevista la seconda lettura). Le letture comunemente previste dal lezionario romano per le celebrazioni nell’anniversario della dedicazione di una chiesa sono risuonate con particolare forza sotto le volute a tratti squarciate della cattedrale.



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In particolare gli accenti mistici della pagina evangelica, tratta dal Vangelo secondo Giovanni, hanno segnato la riflessione omiletica dell’arcivescovo, risplendente di «nobile semplicità» (come richiede la Sacrosanctum Concilium): in essa il presule ha ricordato che la Chiesa è fatta di “pietre vive”, ma ancora di più che il tempio che Dio stesso si è costruito è la persona umana:

Ciò che celebriamo è la ragione profonda per cui la cattedrale di Notre-Dame è stata edificata. Essa è nata dalla fede dei nostri antenati, dallo slancio verso Dio. […] Una Madre che ci è stata data perché ci prendiamo cura di lei come lei si prende cura di noi, ecco perché questa cattedrale è stata donata a Maria.

Mons. Aupetit ha condiviso i riscontri raccolti tra quanti in queste settimane, sul cantiere, laddove ingegneri e architetti gli hanno confidato entusiasti di essere tornati a respirare l’ideale di quanti nei secoli hanno posto mano a un’opera così grande e così radicata che oltrepassa ogni generazione, nel passato e nel futuro.

Il rifugio dei poveri e dei malati

Monsignor Aupetit è tornato a parlare del diritto di asilo (citando le celebri esclamazioni del Quasimodo di Hugo – Asilo, asilo!) e dell’opzione preferenziale della Chiesa per i poveri (opzione della Chiesa di sempre, di quell’unica che ha costruito Notre-Dame sulla fede degli Apostoli)

Sono loro – i poveri, i malati, gli esclusi – che hanno un posto privilegiato in questa cattedrale, come testimonia anche la tradizione di costruire accanto a simili edifici gli hôtel-Dieu – e speriamo di tornare presto a dare importanza a tale istituzione.


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La pietra angolare

Ma si sbaglierebbe chi pensasse che con ciò mons. Aupetit avrebbe “appiattito sul sociale” l’esistenza della Chiesa. Al contrario, costruendo una di per sé non inusitata analogia con “la grammatica architettonica” dell’edificio, il Vescovo ha additato nell’Agnello di Dio la Pietra Angolare dell’edificio e di ciò che esso misticamente significa:

Abbiamo vergogna della fede dei nostri antenati? Abbiamo vergogna della fede in Cristo? Ecco la questione che ci si pone: non ci sono turisti a Notre-Dame: anche quanti entrano come turisti, forse per curiosità, non escono alla stessa maniera, perché c’è una presenza implicita e incontestabile.

Per ignoranza o per etimologia sbagliano quanti separano la cultura dal culto, e non ho paura di dirlo: separando la cultura dal culto si produce un’incultura.

Per noi questa pietra angolare è Cristo: senza lui la cattedrale sarebbe una conchiglia vuota. La cattedrale è opera del genio umano, ma la persona umana è opera del genio divino, e questo significa che la persona umana – ogni persona umana – è depositaria di un valore indisponibile. Quando il genio umano e quello divino si accordano insieme si ha il contatto dell’immanente e del trascendente.

Quando sono debole, è allora che sono forte

E non è mancato chi, su questi ultimi passaggi dell’omelia, ha ricordato la bellissima lettera scritta per intervenire – con duplice autorevolezza di Pastore della Chiesa cattolica e di medico – sul caso di Vincent Lambert. Simile al suo è il paradosso della Chiesa, così ben rappresentata da questa messa in Notre-Dame, confinata a poche decine di presenti eppure seguita nel mondo da milioni di persone.

In modo simile, infatti, la vita di Vincent Lambert è per moltissimi l’occasione di tornare a interrogarsi sul senso e sul mistero della vita; e analogamente fino all’anno scorso la messa anniversaria della dedicazione della cattedrale di Parigi era evento che interessava poco più del clero della diocesi. Oggi ne stiamo parlando fuori di Francia e in tutto il mondo.

Se ci si volesse soffermare ulteriormente sul fenomeno, chiedendocene ragioni, troveremmo facilmente questo: è lo stile dell’Evangelo e di Gesù – che è “il Regno in persona” (Origene) – quello di accettare la minorità cui la malizia, il caso, la trascuratezza confinano il dono di Dio… per poi risplendere con una nuova e sorprendente vitalità. Quella che stasera sgorgava a fiotti da Notre Dame e che pareva destinata a irrigare tutto il mondo.

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