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Questo cardinale filippino potrebbe un giorno diventare Papa. Per ora ci dice che stava per non diventare sacerdote…

CARDINAL LUIS ANTONIO TAGLE
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Monika Burczaniuk - pubblicato il 29/06/19
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Aleteia parla con il cardinale Tagle, leader ecclesiale a livello mondiale, di discernimento vocazionale e del fatto di trovare la volontà di Dio per la nostra vitaIl cardinale Luis Antonio Tagle è sempre più noto nella Chiesa a livello mondiale. L’arcivescovo 60enne di Manila è a volte proposto anche come futuro Papa.

Indipendentemente da quello che Dio ha progettato per il suo futuro, emerge chiaramente che il suo percorso è stato finora pieno di sorprese e di resa alla volontà divina.

Aleteia ha parlato con il cardinale Tagle sul Sinodo su giovani e vocazioni e sulla sfida che rappresenta il fatto di scoprire la volontà di Dio per noi.

Pensando al Sinodo il cui motto è stato “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”, cosa vorrebbe dire ai giovani? Come possono discernere la loro vocazione?

Alcuni giovani pensano che una vocazione sia una sorta di segno miracoloso, una voce dal cielo o un fulmine. Non è così (ride). Probabilmente capita, ma molto raramente. È stato il caso di San Paolo e Mosè, ma non accade a persone ordinarie come noi. Dico sempre ai giovani che Dio opera nelle nostre condizioni umane. La vocazione di Dio è la Sua intenzione per noi. Ha creato ogni persona per uno scopo, e questo scopo è già in via di realizzazione. Dobbiamo solo scoprirlo. È molto facile (ride).

Davvero?

Bisogna guardare nel proprio cuore! Ci si deve conoscere, si devono conoscere i doni che abbiamo ricevuto, i propri talenti e interessi. Poi bisogna “ripulirsi” la mente e il cuore per rendersi conto che non si vive solo per se stessi, e allora saremo in grado di discernere come i nostri talenti possono servire gli altri. Questo è l’inizio del discernimento vocazionale. Tutti i nostri doni, interessi e talenti derivano da Dio; ce li ha dati Lui, decidendo che non sono esclusivamente per noi.

Viviamo in un’epoca in cui non è facile ascoltare la propria voce interiore, perché il mondo la mette a tacere…

Sì, è vero. Prima del Sinodo abbiamo sentito molti giovani dire che ci provano, ma le condizioni per l’ascolto non sono sempre appropriate, soprattutto al giorno d’oggi, in cui siamo collegati a tante cose: telefono, Internet, e-mail… Sono positivi, ma a volte attraverso queste connessioni siamo presenti in tutto il modo.

Siete in Europa, ma siete collegati a quello che sta accadendo in Australia, e anche se non cercate il rumore, tutte le possibilità di comunicazione possono crearlo. È per questo che abbiamo bisogno di un po’ di disciplina. Dico ai giovani che per rendere più significativi i loro rapporti con altre persone devono rimanere da soli di tanto in tanto.

Ciò non vuol dire tagliare i ponti con gli altri! La solitudine, la preghiera, la riflessione e anche il riposo sono il modo per conoscersi meglio e impegnarsi così in rapporti migliori con gli altri. Quando siamo preoccupati e costantemente di corsa, non riusciamo a notare le persone intorno a noi e i poveri che hanno bisogno di noi. A volte perfino in famiglia ogni membro è così assorbito dal mondo virtuale da perdere la connessione con gli altri. Il tempo per se stessi non è quindi un isolamento male interpretato. Significa migliorare la qualità dei propri rapporti con gli altri.

E se qualcuno ha due opzioni nel discernimento della sua vocazione? Se ad esempio vorrebbe essere sia medico che sacerdote? Quale delle due strade dovrebbe scegliere?

È un’ottima domanda. Ci sono decisioni in cui entrambe le possibilità sono positive e adatte. È facile scegliere quando un’opzione è positiva e l’altra negativa. Sappiamo che si sceglierà la prima. A volte, però, quando si vuole discernere la propria strada si nota che si è predisposti per entrambe le opzioni. Si può essere bravi in entrambe le cose, al mondo servono entrambe le cose e tutte e due servono gli altri. È molto difficile, ma credo che in questo caso ci si dovrebbe chiedere “Cosa mi aiuterà a seguire meglio Gesù?” E il sacerdozio non è la risposta in qualsiasi caso.

Dovremmo tener conto di questo fatto anche nel contesto del matrimonio? E se ci fossero due buone scelte?

In primo luogo bisogna rendersi conto del fatto che non si può avere tutto.

È questo il problema del mondo di oggi!

È vero, vogliamo avere tutto. Vogliamo una vita ideale, un partner ideale e un lavoro ideale. Non appena percepiamo un’imperfezione diciamo: “No, non è per me”. Non si troverà mai l’ideale! Scegliendo la persona giusta, bisogna verificare la propria motivazione nella preghiera e “gettarsi nella fede”. E bisogna rispondere ancora una volta alla domanda: “Con quale di queste persone potrei essere più vicino a Gesù? Con chi posso servire meglio gli altri?”

Cosa può dirci della sua vocazione?

Inizialmente pensavo di diventare medico.

Allora ho posto proprio la domanda giusta!

Sì, decisamente (ride)! Fin da piccolo pensavo di diventare un medico, ed erano contenti anche i miei genitori. Quando avevo 14 anni è stata creata una nuova comunità per giovani, e sono stato invitato a prendervi parte. All’inizio non mi piaceva, ma è stata questa comunità che mi ha aiutato a vedere un’altra realtà. Abbiamo aiutato i bambini di strada, quelli di famiglie povere e quelli che vivevano nelle baraccopoli. Ho aiutato gli altri, ma ero concentrato sulla medicina. Alcuni mi chiedevano se volevo diventare sacerdote, ma ignoravo la cosa. “No, no, studierò Medicina e mi limiterò ad aiutare in parrocchia”, dicevo.

Poi, all’improvviso, è accaduto qualcosa. Un sacerdote che conoscevo mi ha chiesto se mi ero reso conto che era possibile ottenere una borsa di studio nell’università dei Gesuiti. Ha detto: “Puoi frequentare un corso preparatorio per la facoltà di Medicina lì. Se ottieni la borsa di studio potrai aiutare i tuoi genitori”. E allora ho fatto gli esami. Durante il primo mi sono reso conto che non era un esame per la facoltà di Medicina, ma per il seminario! Ero furioso! “Padre, perché mi ha mentito?”, ho gridato al sacerdote, e lui ha risposto: “Volevo solo aprirti gli occhi; pensi solo alla medicina!”

Ero arrabbiato, ma ho iniziato a pormi delle domande. Quando mi stavo inclinando verso il sacerdozio, è saltato fuori che avevo fallito l’esame. Sono invece riuscito a entrare a Medicina. E poi ho iniziato a interrogarmi e ho parlato con molte persone.

Ero confuso ma ho pregato molto: “Signore, mostrami la tua strada in mezzo a tutta questa confusione, perché da solo non ci riesco”. Lentamente, lentamente… sono tornato in seminario e ho chiesto se potevo provare un’altra volta. Non mi hanno preso. Dopo due o tre rifiuti ho deciso che visto che le porte del seminario erano chiuse per me sarei diventato medico.

L’ultimo giorno delle iscrizioni ero in fila per pagare. Il sacerdote gesuita che aveva intervistato i candidati mi ha visto e mi ha chiesto: “Cosa fai qui? Sei così ostinato! Il rettore ti ha detto che non ti avrebbe ammesso!”

“Lo so, ed è per questo che non proverò di nuovo. Ho scelto Medicina”, ho replicato.

Mi ha detto: “Seguimi”. Mi ha intervistato, ha chiamato qualcuno e dopo un po’ ha detto: “Visto che hai dimostrato un interesse proviamo, ma solo per un semestre!” E dopo quel semestre mi hanno fatto restare.

E ora è cardinale! La vita è così imprevedibile…

La conclusione è “Cerca la tua strada, ma sii aperto a ciò che ti offre la vita”. Non è tutto sotto il nostro controllo. Chi l’avrebbe detto? Sono stato l’ultimo nella lista delle ammissioni e ora, come ha ricordato lei, sono cardinale (ride). Cercare la propria strada richiede sforzo, ma servono anche gli altri. Si ha bisogno di persone che ci conoscono e vedono qualcosa che noi non riusciamo a vedere. Ero furioso con quel sacerdote, ma è stato uno strumento!

Che storia straordinaria!

La vita è così. A volte sembra che abbiamo preso la decisione finale, ma sembra e basta (ride). E allora dico ai giovani di non cedere alla frustrazione. Talvolta i giovani crollano quando i loro progetti falliscono, ma in quel momento bisogna avere una prospettiva più ampia: forse Dio ha qualcosa di meglio in serbo per noi?

Penso che la libertà sia il primo passo verso il discernimento vocazionale.

È vero, ma libertà non significa poter fare qualsiasi cosa si voglia. Essere liberi vuol dire essere onesti, liberi da bugie e delusioni. Sono libero se so chi sono. Conosco i miei punti di forza e le mie debolezze. Sono libero se so cos’è possibile per me. Se non sono bravo in matematica non posso fare il contabile e va bene. Libertà significa donarsi agli altri, e questo è l’obiettivo di qualsiasi vocazione. La libertà riposa sulla verità e sull’amore. Se non si è liberi nell’amore, significa che non è amore.

Questo articolo è stato tradotto e adattato dall’edizione polacca di Aleteia.

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