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Se ci confessiamo in punto di morte possiamo andare in paradiso?

CONFESSIONAL
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Toscana Oggi - pubblicato il 07/09/19
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Una cosa non mi è chiara relativamente al Sacramento della riconciliazione. Ogni volta che ci confessiamo i nostri peccati sono perdonati, se siamo perdonati in punto di morte siamo assolti da tutti i peccati. Allora dovremmo andare in paradiso, ma di questo non siamo certi. Mi potete aiutare a capire?

Massimo  Volpe

 

Risponde padre Valerio Mauro, docente di Teologia Sacramentaria

La domanda che ci viene rivolta chiede una spiegazione sull’efficacia del Sacramento della riconciliazione o penitenza, come indica il nome ufficiale del rituale liturgico (Rito della penitenza). La questione, però, non si limita all’efficacia del perdono sacramentale, ma coinvolge anche la salvezza finale del cristiano credente. E la risposta dovrà limitarsi necessariamente a questo caso, perché la salvezza di coloro che non sono cristiani o credenti rientra in un’altra problematica, che richiederebbe ben altro spazio a disposizione.

La nostra succinta risposta si snoda, quindi, in due passi successivi, sperando di riuscire ad illuminare un poco questioni così delicate. Il primo interrogativo verte sull’efficacia del sacramento della penitenza. È vero che attraverso il perdono sacramentale i nostri peccati sono perdonati da Dio. Lo affermano le stesse parole di Cristo, come sono state comprese dalla grande Tradizione ecclesiale. In modo particolare, ricordiamo le parole del Signore risorto alla sera di Pasqua, quando alitò lo Spirito santo sui discepoli, inviandoli nel mondo e dicendo loro: «a chi rimetterete i peccati saranno rimessi» (Gv 20,23). Da allora, la Chiesa è cosciente di aver ricevuto un vero e proprio ministero di riconciliazione, da esercitare nei confronti degli uomini, prima di tutto con la predicazione del Vangelo in vista della conversione e del battesimo, in secondo luogo con il sacramento della penitenza per coloro che sono stati già battezzati (cf 2Cor 5,18-20).

Il perdono di Dio, dunque, incrocia la nostra vita personale, attraverso la parola del Vangelo o i sacramenti della fede. Il battesimo concede il dono singolare di una profonda trasformazione interiore, tanto che parliamo di una nuova nascita dall’alto, dallo Spirito santo (cf Gv 3,3-5). Questo accade una volta per tutte e solo una volta. Il sacramento della penitenza, invece, riconcilia i battezzati con Dio e la comunità ecclesiale: riconduce alla comunione spezzata dal peccato. Non cancella quanto è accaduto, ma trasforma e purifica la relazione ferita dai peccati.

Le conseguenze dei peccati sono indicate dalla Chiesa con un linguaggio particolare, distinguendo la pena eterna dalle pene temporali (cf Catechismo della Chiesa Cattolica, 1472s). Gravi peccati conducono alla pena eterna, ma non esiste nessun peccato del quale non si possa ottenere il perdono da parte di Dio e con esso la salvezza. Ogni peccato, tuttavia, incide sulla mia relazione con il Signore e il perdono ricevuto non toglie la fatica di integrare nel rapporto con Dio il mio rifiuto del suo amore.

Per analogia possiamo pensare a un rapporto amicale. Se tradisco un amico, posso chiedere e ottenere il suo perdono, con sincerità e generosità. Il nostro rapporto di amicizia, però, dovrà integrare in se stesso quel tradimento, attraverso una storia da vivere nel tempo futuro. La fatica di rinnovare il nostro rapporto con Dio, attraverso gesti di purificazione pervasi di carità, prende il nome di pene temporali. Questa purificazione avviene in terra oppure dopo la morte, come attraverso il fuoco, secondo il Vangelo (cf Mc 9,49). Per questo, sia pure confessati e assolti, la nostra relazione con Dio dovrà vivere una ulteriore purificazione: il perdono sacramentale ci salva dalla pena eterna, restano le pene temporali.

Il secondo passo che dobbiamo fare è una riflessione sulla certezza interiore della salvezza. Il Vangelo invita con forza alla perseveranza finale (Mt 10,22; 24,13), chiedendo ad ogni credente un abbandono filiale nelle braccia della misericordia divina. Per questo, a parte casi singolari di particolari grazie ricevute (e che proprio in quanto tali non possono essere pretese né credute in modo infallibile), «nell’ora di passare da questo mondo al Padre» dovremo sempre confidare nel perdono di Dio, rimettendo a Lui la nostra vita, quando saranno svelati i segreti dei cuori e ognuno riceverà la sua lode da Dio (1Cor 4,4s).

Il momento finale della nostra vita è una cosa seria, segnata da possibili tentazioni di fede. Saremo davanti alla verità di Dio col bene che avremo compiuto nella nostra esistenza, perché nella sua benevolenza infinita Dio ha voluto che i suoi doni possano diventare meriti degli uomini. Ma soprattutto, sostenuti dalla sua grazia e dalla comunione dei santi, non potremo che affidarci al suo Amore misericordioso.

Qui l’articolo originale apparso su “Toscana Oggi”

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