Prima della Comunione, il prete spezza l’ostia consacrata e ne getta un frammento nel calice del vino. Da dove viene questo uso? La risposta del liturgistaGuardando la Messa in tv, in questi giorni, ho fatto caso a una cosa che non avevo mai notato. Il prete, prima della Comunione, spezza l’ostia e poi ne getta un angolino nel calice del vino. Perché viene fatto questo gesto?
Risponde padre Lamberto Crociani, docente di Liturgia
La frazione del pane e l’immistione di parte dell’ostia nella coppa si colloca da quando è entrata in vigore – quindi dai primi secoli – all’incirca al momento della Comunione, legata alle parole: «La pace del Signore sia sempre con voi». L’uso proviene dalla tradizione di Israele e il Signore stesso ha ripetuto il gesto – come narra l’istituzione eucaristica – nella sua Cena d’addio con i discepoli. Nella Chiesa apostolica la frazione del pane per eccellenza è proprio la celebrazione eucaristica. Dico per eccellenza perché da questa deriva l’altra che è la carità/condivisione dei beni con quelli che ne sono privi, perché condividendo il Signore con noi i suoi beni terrestri, anche noi dobbiamo condividere i doni ricevuti con i fratelli indigenti.
Nella Chiesa antica si consacrava veramente pane, quindi, per necessità all’atto del comunicare si doveva fare dall’unico pane i piccoli bocconi necessari per la comunione della Chiesa celebrante. Ora questo gesto necessario attraeva molto, a differenza di altri momenti: da questo deriva il fatto che nel corso dei secoli gli siano stati attribuiti vari significati mistico-simbolici per poi arrivare a quello che chiamiamo rito di commistione, che ancora oggi ripetiamo e che in qualche modo ha attratto la nostra lettrice.
La frazione è letta in relazione alla Passione, in fondo come testimonia ancora la formula bizantina dell’Istituzione, quindi essa si legge come rito sacrificale. Cristo è il pane spezzato per la remissione dei peccati. Il pane spezzato era disposto sulla patena in modo da ricordare il corpo crocifisso del Signore. Poi i collocò semplicemente a mo’ di croce.
A Roma fino a circa il secolo VIII il gesto veniva fatto in silenzio, poi fu introdotto il canto dell’Agnello di Dio. Questo frazionamento del pane restò nel rito romano fino a quando il pane non fu sostituito da quelle che chiamiamo «ostie»: neppure allora però si perse il rito, che restò unito al canto dell’Agnello di Dio.
Ancora nel periodo antico quando si utilizzava il pane, secondo l’affermazione paolina «Poiché esiste un unico pane, noi siamo un unico corpo…», Roma espresse questo concetto con un simbolo: il fermentum, così infatti erano chiamate quelle parti di pane consacrato dal papa nei giorni festivi, di cui la parte minore era conservata in un cofanetto in sacrestia per poi essere immessa dallo stesso papa nel calice durante la seguente celebrazione, a mo’ di unità/continuità. La parte maggiore invece era inviata ai vescovi suburbicari e ai presbiteri delle diverse chiese della città i quali ponevano la particella ricevuta nel calice per esprimere la loro comunione col vescovo da cui dipendevano. Questa è la commistione più antica che conosciamo: essa restò in vigore almeno fino al secolo V, comunque sia il gesto originario – pur senza l’invio papale – restò in uso, immettendo nel calice una particola del pane consacrato dal celebrante. Essa era accompagnata della formula «La pace del signore sia sempre con voi», esprimendo così ancora il senso di comunione e di pace.
Col passare del tempo mutò però il significato del gesto indicando l’unità della due specie consacrate, il pane e il vino, che formano il corpo vivo e glorioso di Cristo, alludendo così alla sua Resurrezione. Tale lettura teologica nacque in Oriente e fu accettata anche da Roma e da tutte le altre liturgie occidentali. Il papa faceva questa commistione prima di comunicarsi.
L’evoluzione è assai complessa specie nel mondo franco-germanico, ma i fondamenti sono quelli qui espressi. Una parola va detta anche sulla formula tradizionale, restata in uso fino alla riforma. Essa suonava così: «Questa commistione e consacrazione del Corpo del Sangue del Signore nostro Gesù Cristo per noi che la accogliamo giovi per la vita eterna». Per molti studiosi tale gesto indicava la conclusione e il perfezionamento del gesto consacratorio. Per altri la formula si riferirebbe al versare il vino consacrato nei calici pieni di vino, ma non consacrati che sarebbero serviti per la comunione dei fedeli. Comunque il gesto, accompagnato dalle parole, indicherebbe appunto – come sopra accennato – il mistero grande della Resurrezione. Pertanto la parola «consacrazione» che si ritrova nella formula vuole significare una trasformazione mistica dei due elementi, che diventano per chi li riceve fermento di vita eterna. Anche l’uso attuale di spezzare in tre parti la grande ostia consacrata ha avuto diverse letture. Riporto qui la più antica. L’unione dei segni nel calice sicuramente è segno del Cristo Risorto, la parte più grande che resta nella destra di colui che spezza il pane è per la sua comunione e per quella del popolo.
La parte minore riappoggiata sull’altare rappresenta «chi giace nei sepolcri». Quest’ultima parte spezzata fu detta anche «viatico» perché serviva a tale scopo, ma se non doveva servire per questo la consumava il presbitero o da lui era offerta al ministro. Nella messa tridentina, secondo l’ordinario della messa di papa Innocenzo III, la frazione e l’immistione si facevano alla conclusione della preghiera «Liberaci, Signore, da tutti i mali», mentre appunto il presbitero diceva: «Per il nostro Signore…». Prendeva la patena da sotto il corporale, vi collocava sopra l’ostia che immediatamente prendeva con le due mani e la portava sul calice e la spezzava in due parti. Deponeva sulla patena la parte tenuta con la destra, staccava una particella da quella tenuta con la sinistra e il restante lo univa alla particola già sulla patena. Risposto l’Amen dal popolo con il frammento di particola che ha ancora in mano fa tre segni di croce sul calice dicendo: «La pace del Signore sia sempre con voi» quindi lascia cadere all’interno la particola.