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Le donne del Blocco 10, sopravvissute agli esperimenti medici ad Auschwitz

EKSPERYMENTY MEDYCZNE W AUSCHWITZ
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Marta Brzezińska-Waleszczyk - pubblicato il 19/06/20
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La parola “Auschwitz” terrorizza, ma quando si aggiunge “Blocco 10”… Circa 800 donne hanno vissuto l’inferno nell’inferno. Solo 300 sono sopravvissute. Alcune lo hanno raccontatoI loro ricordi e i loro racconti dettagliati si trovano nel libro di Hans-Joachim Lang intitolato Donne del Blocco 10. Esperimenti medici ad Auschwitz (Kobiety z bloku 10. Eksperymenty medyczne w Auschwitz, ed. Marginesy 2019). La pubblicazione è un epitaffio per le donne che sono sopravvissute all’inferno nell’inferno. Entrare nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau finiva per la maggior parte delle persone con la morte, ma essere inviate nel Blocco 10 era ancor peggiore, perché prima di una morte quasi certa le donne venivano sottoposte ai bestiali esperimenti dei medici nazisti, anche se usare in questo caso la parola “medico” è assai discutibile.

Il Blocco 10 ad Auschwitz – l’inferno nell’inferno

Nessuno chiedeva il permesso alle prigioniere di Auschwitz. Ovviamente a volte avevano l’opportunità di presentarsi volontariamente per entrare nel Blocco 10. Venivano attirate dalla visione di razioni maggiori di cibo, o semplicemente dalla promessa di sopravvivere se avessero partecipato alle ricerche. Ma non si trattava di prove ordinarie. A loro insaputa e senza il loro consenso vennero sottoposte a radiazioni, iniezioni con miscugli chimici di vari sostanze… C’era un obiettivo: creare un metodo economico, semplice, rapido ed efficace per sterilizzare le donne. E gli uomini. Il tutto perché la razza dei “subumani” non si riproducesse più, ma continuasse a rappresentare manodopera a buon mercato.

È questo il motivo per il quale i “medici” volevano che la sterilizzazione non solo fosse semplice ed efficace, ma che le donne che vi erano state sottoposte potessero tornare al loro durissimo lavoro il prima possibile. Che importava se all’inizio morivano per le troppe radiazioni? Per i medici nazisti non era una perdita. Alla fin fine, ad Auschwitz avevano moltissime risorse umane, il cui destino si decideva con un semplice movimento del loro dito. Dire che trattarono le donne del Blocco 10 come cavie da laboratorio è un vero eufemismo…

Hans-Joachim Lang dà voce alle donne

Hans-Joachim Lang ha dato una voce alle donne che non hanno avuto per anni il diritto di obiettare. Il suo libro consiste principalmente nei racconti di queste vittime, che riferiscono come arrivarono ad Auschwitz e cosa successe ai loro mariti, figli e familiari, il loro arrivo al Blocco 10, com’erano gli esperimenti, cosa veniva dato loro, quanto tempo duravano le esposizioni e con quale frequenza venivano esposte alle radiazioni, a cosa serviva il laboratorio, quali metodi venivano usati e su cosa indagavano altri pseudo-medici.

Le interlocutrici di Lang parlano di come sono state trattate dagli aguzzini in camice bianco, e che reazioni hanno trovato i loro tentativi di opposizione. Menzionano anche i prigionieri che fungevano da medici o infermiere, costretti ad aiutare negli esperimenti. Grazie ai loro lunghi racconti, dozzine di conversazioni con donne e indagini d’archivio, l’autore crea un’immagine dettagliata del Blocco 10 di Auschwitz.

Le Donne del Blocco 10 e domande importanti sulla professione medica

Il libro di Lang non termina quando il campo di Auschwitz viene liberato. Nei racconti delle donne ci sono anche descrizioni della “marcia della morte” e di quello che hanno vissuto dopo la guerra. Alcune parlano del tentativo di ritrovare i propri cari e di riorganizzare la propria vita. Il giornalista e storico tedesco mostra anche le protagoniste a confronto con la mancanza di sensibilità di giudici e funzionari quando hanno cercato un risarcimento economico (che ovviamente non compenserà mai quello che hanno vissuto). Il modo in cui hanno dovuto chiedere i danni e la loro quantità, e in generale tutto il processo è stato diffamatorio per la dignità umana.

Le Donne del Blocco 10 non è un libro di facile lettura. Scene terrificanti, ricordi di donne che da adolescenti sono finite ad Auschwitz, sul tavolo operatorio di “carnefici col camice bianco”, ricordi che parlano di madri a cui venivano strappati i figli neonati, descrizioni dettagliate di procedure mediche provate sulle prigioniere… tutto questo mi ha fatto leggere il libro per parti. L’enormità della sofferenza contenuta nelle sue pagine era troppo grande per far parte di un’unica lettura. È anche un libro che resta in mente per molto tempo dopo averlo terminato, e fa porre molte domande su come la professione medica, che ha l’obiettivo di salvare vite umane, possa diventare letale in un istante.

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