George Zabelka benedisse le bombe che caddero su Hiroshima e Nagasaki, e trascorse il resto della sua vita pentendoseneGeorge Zabelka era un sacerdote cattolico statunitense di origine austriaca, e come molti giovani della sua generazione si arruolò come cappellano in difesa del suo Paese durante la II Guerra Mondiale. La sua missione era quella di accompagnare spiritualmente i quasi 2.000 uomini del Gruppo 509, l’unità addestrata per gettare la bomba atomica sul Giappone.
Non era un militarista (diceva sempre ai suoi fedeli che assassinare i civili a sangue freddo era inaccettabile), ma partecipava al sentimento di quell’epoca difficile: combattere l’Asse era una guerra giusta, e in qualche modo il fine giustificava i mezzi.
Quando seppe che le due bombe, Little Boy e Fat Man, avevano ucciso centinaia di migliaia di civili, ne fu costernato, ma nonostante tutto i suoi ragazzi avevano fatto “la cosa giusta” per porre fine a quella guerra una volta per tutte.
Le convinzioni di padre Zabelka iniziarono però a incrinarsi quando seppe che una delle bombe era stata sganciata su Nagasaki, la città più cattolica del Giappone: il giovane sacerdote giunse alla conclusione che aveva mandato i suoi ragazzi cattolici ad assassinare altri cattolici.
Leggi anche:
Vescovo sopravvissuto alla bomba atomica su Nagasaki parla nel 75° anniversario della tragedia
“Come cappellano cattolico, ho visto mentre il Boxcar, guidato da un bravo pilota cattolico irlandese, lasciava cadere la bomba sulla cattedrale Urakami a Nagasaki, il centro del cattolicesimo in Giappone. Sapevo che San Francesco Saverio, secoli fa, aveva portato la fede cattolica in Giappone. Sapevo che in quel momento venivano distrutti chiese, scuole e ordini religiosi. E non ho detto niente”, ha lamentato anni dopo in uno dei suoi discorsi.
Pieno di rimorsi, il giovane sacerdote accorse negli ospedali in cui migliaia di vittime della bomba agonizzavano tra dolori terribili. Parlò con molti sopravvissuti. Alla fine decise di non tornare negli Stati Uniti, ma di rimanere come cappellano in Giappone, servendo quelli che una volta erano stati i suoi nemici.
Padre Zabelka ha dedicato il resto della sua vita a lottare attivamente per la pace e a mettere in guardia il mondo sui pericoli della bomba atomica. Nel 1984, ormai anziano, ha organizzato un pellegrinaggio da Tokyo a Hiroshima per chiedere perdono agli hibakusha, i sopravvissuti giapponesi alla bomba.
“Come cappellano delle Forze Armate ho dipinto una mitragliatrice nelle mani piene di bontà di Gesù non violento, e poi ho passato questa immagine perversa al mondo come se fosse la verità. Ho cantato Gloria a Dio e ho passato le munizioni. Come cappellano cattolico per il Gruppo 509, sono stato il canale finale che ha comunicato questa immagine fraudolenta di Cristo all’equipaggio dell’Enola Gay e del Boxcar”.
Leggi anche:
Il “medico di Hiroshima” sulla via della santità
“Tutto quello che posso dire oggi è di aver sbagliato. Cristo non sarebbe mai stato uno strumento per sprigionare un tale orrore sul suo popolo, e nessun seguace di Cristo può scatenare legittimamente l’orrore della guerra contro il popolo di Dio. Non c’è posto per scuse e tentativi di giustificazione. Tutto quello che posso dire è ‘Ho sbagliato!‘”, ha affermato Zabelka nel 1985, poco prima della sua morte, in una conferenza oggi conservata presso l’Università di Notre-Dame.