Ramón è un missionario della Consolata e ha lavorato in Spagna, Costa d’Avorio, Congo e MessicoRamón Lázaro Esnaola è nato a Saragozza (Spagna) 53 anni fa. Quando era bambino e i suoi genitori lo hanno portato in una scuola di Gesuiti non avrebbe mai immaginato che avrebbe vissuto una guerra sulla propria pelle, o che avrebbe lavorato come direttore di un ospedale nel continente africano.
Sua madre era la più praticante della famiglia, e gli diceva che se fosse andato con lei a Messa poi gli avrebbe comprato un cornetto. Ramón non ha mai abbandonato la fede, che ha sempre praticato in qualche modo. Quando ha compiuto 18 anni ha iniziato a studiare Imprenditoria. Certo non pensava che un giorno sarebbe vissuto in un paesino sperduto del Messico.
“Sono uscito con una ragazza per due anni ed è stata un’esperienza molto bella. La considero parte della mia storia con Dio. Mi ha insegnato l’amore di Dio attraverso l’amore umano”, ha raccontato. Ramón era un tipo tranquillo, giocava a basket, andava al cinema con gli amici… Non conduceva una vita scapestrata, ma non era nemmeno troppo integrato nella parrocchia.
“Ho iniziato a collaborare con una ONG che si chiama ASA (Acción Solidaria Aragonesa), e lì mi sono reso conto di come andava il mondo. Ho scoperto che il comfort in cui vivevamo nell’emisfero Nord era il prodotto del malessere esistente al Sud. Tutto questo ha fatto nascere in me una consapevolezza, e ho capito che volevo prendere le parti di tutte le persone dimenticate”.
Il cambiamento di vita
Gli studi universitari non sono andati bene, poi si è lasciato con la fidanzata… In quel momento della sua vita si è chiesto “Perché non diventare missionario?” “Ero entrato in un gruppo della Consolata, e i sacerdoti mi piacevano molto. Il mio discernimento è stato un braccio di ferro tra Dio e me… e alla fine ha vinto Lui”.
Ramón è passato da Imprenditoria a Filosofia. “Ho iniziato a lavorare nel quartiere di Tetuán con i giovani. Mi trovavo a mio agio in quelle periferie, tirando fuori dialoghi dove non esistevano, parlando con i migranti nella metropolitana…” Ma il corpo gli chiedeva una periferia ancora più lontana.
Com’è la vita di un missionario in Africa
“Mi hanno proposto di andare in Costa d’Avorio”. E qui è iniziato il periplo missionario internazionale di Ramón. Quando è arrivato in Africa si è reso conto di essere affascinato dal “mondo culturale. È stato un dono di Dio poter avviare una missione, vivere in un luogo in cui non c’erano mai stati prima dei missionari e creare una comunità cristiana dal nulla”.
Un anno dopo, però, i suoi sogni e i suoi progetti sono stati stroncati e in Costa d’Avorio è iniziata la guerra civile. “C’è stato un colpo di Stato, è iniziata la guerra e siamo rimasti privi di comunicazione. Abbiamo vissuto sei anni di grande vulnerabilità. La mia fede nello Spirito Santo è aumentata molto, perché il Signore ci ha tenuti lì anche se tutti i medici erano fuggiti. Ora mi chiedo da dove posso aver tratto le forze per affrontare tutta quella situazione. Ho anche preso coscienza della mia piccolezza. A volte una persona va in missione e ha i mezzi e aiuta… a me è capitato il contrario”.
Dopo 7 anni e mezzo gli hanno chiesto di andare in Congo per aiutare nella formazione dei giovani della Consolata. La sua situazione è nuovamente cambiata del tutto. “È stato un momento difficile perché mi vedevo più come un missionario di campagna, più pastorale, in contatto con la gente. Non mi vedevo tanto nell’accompagnare processi formativi. Non l’ho vissuta bene, venivo da un’esperienza di missione molto dura e mi sentivo una sorta di retroguardia. Mi piaceva di più l’azione, la periferia, stare con la gente”.
Dio ha concesso a Ramón di poter tornare in Costa d’Avorio, stavolta senza guerra. Qui si è incaricato della direzione di un ospedale, e poi è stato scelto come superiore dei missionari nel Paese. “Ma il Signore mi ha dato quel compito per inserirmi dove mi trovo, e mi sono molto integrato nel quartiere, dove ho vissuto con giovani di tutte le religioni. Mi ha colpito molto il modo in cui ho dato una fisonomia a quella presenza che non era solo istituzionale, ma anche missionaria”.
Dopo 15 anni in Costa d’Avorio e quasi 4 in Congo “mi hanno proposto un cambiamento, ed era radicale”. La vita di un missionario è così. Professore, psicologo, accompagnatore, direttore d’ospedale, superiore dei missionari… “Quando ci si trova da molto tempo in un luogo ci si adagia. Io mi sentivo ancora pieno di forze, ero alla metà della vita e potevo fare ancora qualcosa di interessante. Mi preoccupava la salute dei miei genitori, ne ho parlato con i miei fratelli e la Consolata mi ha offerto di andare in Messico, una realtà che non conoscevo”.
Un continente nuovo, un Paese nuovo
“Sono da sette mesi in Messico, in un paese che si chiama San Antonio, a 30 chilometri da Guadalajara. Lavoro con gente molto umile in quartieri enormi con un numero di famiglie che va dalle 800 alle 7.000. Mi sono inserito bene per accompagnare famiglie e persone, per poter essere un segno della consolazione di Dio. Una delle cose che mi hanno colpito di più è la facilità con cui mi sono adattato”.
Dal Messico arrivano spesso notizie poco positive, ma Ramón ha trovato qualcosa di molto diverso: “Nei telegiornali sembra che siamo qui circondati da sparatorie e narcotraffico, ma io ho trovato molte persone accoglienti, allegre, che ti aprono facilmente il proprio cuore”.
“Sottolioneerei la violenza infantile che prevale qui. In quasi l’80% dei miei dialoghi con le persone trovo dietro una storia di violenza infantile, di abusi… È molto difficile perché le persone che mi sono state affidate piangono sconsolate…. Mi chiedevo cosa facessi in Messico, ma sto sperimentando delle periferie esistenziali molto forti”.
Ramón si congeda da me con un sorriso e una frase decisamente eloquente: “Sono molto felice”. Dice che la missione lo ha reso migliore, e che è un privilegio poter stare alla frontiera ed essere una “sentinella dell’umanità”.