La crioconservazione del seme, una tecnica usata nella fecondazione artificiale, che solleva alcune perplessità. Le riflessioni di padre Maurizio Faggioni, docente di bioeticaA una persona che conosco hanno proposto, dopo una diagnosi di tumore, di raccogliere del seme per la crioconservazione, in modo da poter fare in futuro una fecondazione artificiale, perché la malattia e le terapie che dovrà affrontare potrebbero compromettere il suo patrimonio genetico, o provocare infertilità. La persona convive da alcuni anni, non ha ancora figli ma ha manifestato il desiderio di sposarsi e di averne. Vorrei sapere qual è il pensiero della Chiesa su una pratica di questo tipo.
Lettera firmata
Risponde padre Maurizio Faggioni, docente di Teologia morale
La fecondità è senza dubbio un bene della persona perché il figlio è un’espressione altissima dell’amore coniugale e un’incarnazione, per così dire, del «noi» sponsale. In caso di tumori che richiedono chemio o radioterapia la capacità procreativa può essere alterata o ridotta o compromessa. Ovviamente di fronte al rischio di morire per un tumore, una persona pensa prima di tutto a salvare il bene primario della vita, ma il rischio non ipotetico di menomare la fertilità non può lasciare indifferenti i genitori, se si tratta di bambini, o la persona stessa, soprattutto se – come nel caso presentato – non ha ancora avuto figli e desidera averne.
Una prima possibilità offerta alle persone che vivono una relazione di coppia è quella di concepire embrioni in vitro, congelarli e poi impiantarli al momento opportuno: questa possibilità confligge con ostacoli morali gravi rappresentati dalla fecondazione extracorporea e dal congelamento degli embrioni con tutta una serie di delicate problematiche. Nel tentativo di preservare le potenzialità procreative della persona ormai da anni si vanno sviluppando procedure finalizzate alla conservazione dei gameti. Nel caso delle donne, gli ovociti possono essere prelevati, previa stimolazione ormonale, e congelati e conservati per tempi lunghi (crioconservazione). Al momento opportuno possono essere scongelati e impiegati nelle tecniche di fecondazione artificiale extracorporea (come Fivet o la Icsi). Questa tecnica è ormai standardizzata, ma incontra gli ostacoli morali delle tecniche di fecondazione artificiale extracorporea (cfr. Congr. Dottr. Fede, Dignitas personae 20). Dopo essere stata perfezionata in modelli animali, sta entrando nella pratica medica una procedura che prevede il prelievo di sottili strisce di corticale ovarica (la zona più esterna dove si trovano le cellule germinali), il loro congelamento e conservazione e, dopo l’esecuzione della chemio o della radioterapia, il loro trasferimento nell’ovaio. Si ripristina così la funzionalità ovarica naturale tanto dal punto di vista della produzione degli ormoni femminili, quanto dal punto di vista della produzione dei gameti femminili. In linea di principio questo autotrapianto non pone problemi morali (cfr. Nuova carta degli operatori sanitari n. 36).
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Ci sono studi e modelli sperimentali animali anche per la conservazione del tessuto germinale maschile, ma per le caratteristiche anatomo-funzionali del testicolo, la ricerca è più arretrata rispetto a quella sul tessuto ovarico, anche se sarebbe molto importante soprattutto nel caso di prepuberi. Nel caso del maschio adulto, oltre alla possibilità di concepire embrioni in vitro e di congelarli, una prassi corrente prevede il prelievo del seme, il suo congelamento e il suo impiego, in un tempo successivo, in tecniche di fecondazione artificiale. Una prima questione riguarda il metodo di raccolta del seme che avviene di solito attraverso masturbazione. Non c’è dubbio che, in generale, la masturbazione sia un atto disordinato non corrispondente al senso fondamentale della sessualità umana che è apertura alla comunione, ma i moralisti dalla fine del XIX secolo fino a oggi hanno discusso e discutono se una manipolazione dei genitali destinata a raccogliere il seme con l’intenzione di procreare possa essere messa sullo stesso piano di un atto masturbatorio fatto per puro piacere fisico o anche per fini diagnostici.
Non entriamo nella questione perché il nodo più problematico è un altro: un figlio, per essere generato nel rispetto della sua dignità di persona, deve essere il frutto dell’amore coniugale e dei gesti che lo esprimono così che la nuova vita sorga e venga accolta nel contesto del matrimonio. Non credo che sia indifferente per una persona sapere di essere venuto al mondo attraverso un atto masturbatorio invece che attraverso un gesto d’amore fra i propri genitori. È vero che il seme potrebbe essere raccolto non con masturbazione, ma in un atto coniugale ed essere impiegato in tecniche lecite di fecondazione intracorporea (cfr. Nuova carta degli operatori sanitari, n 25 ). In questo caso la tecnica non interviene per escludere il gesto intimo dell’amore coniugale da cui scaturisce la vita, ma per permettere a quel gesto d’amore di aprirsi alla generazione del figlio. Si intuisce, però, che se manca un contesto coniugale – come nel caso prospettato dal lettore – e se, comunque, si pensa semplicemente di mettere da parte del seme per poi impiegarlo eventualmente in tecniche di fecondazione artificiale, non si potrebbe più dire che la tecnica interviene per aiutare un atto coniugale a diventare inizio di una vita.
A mio giudizio, allo stato attuale, non ci sono vie eticamente praticabili per rispondere al desiderio – assolutamente comprensibile e legittimo – dell’amico del nostro lettore, ma nulla vieta che, in ambienti idonei e rispettando le indicazioni della letteratura medica più aggiornata, si possa congelare il tessuto testicolare e che in un prossimo futuro, grazie al veloce progredire della scienza, esso possa essere impiegato per ripristinare la fecondità naturale in modi moralmente accettabili.
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