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Per Chi digiunare? 

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Henri Quantin - pubblicato il 17/02/21
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Ogni vero digiuno è eucaristico, cioè offerta e resa di grazie. È sempre per Cristo e con Cristo che si deve digiunare.

Alla fine degli anni ’70, la grande enciclopedia francese “Catholicisme” notare che l’osservanza del digiuno era «quasi totalmente abbandonata», ma concludeva che «esso resta uno strumento di liberazione». Scuola di dominio di sé e forma di combattimento spirituale testimoniano che l’uomo non vive di solo pane: il digiuno sembrerebbe raccomandabile, da parte dell’autore dell’articolo, soprattutto per il suo “valore igienico”. 

Alla legittima questione “perché digiunare?” è comunque bene aggiungerne un’altra, ancora più essenziale: «Per chi digiunare?». Né buddista né igienista, né masochista (come se maltrattasse un corpo da lui disprezzato), il cattolico è chiamato a vivere il proprio digiuno rivolto verso Cristo, di cui attende il ritorno. A quanti trattano i suoi discepoli da mangioni, Gesù rispose così: 

Potranno forse digiunare gli invitati alle nozze fintanto che lo Sposo è con loro? Finché lo Sposo è con loro non possono digiunare. Ma verrà il tempo in cui lo Sposo sarà loro sottratto: quel giorno digiuneranno. 

Mc 2,18-22 

Il digiuno e i quattro livelli dell’amore 

La tradizione monastica distingue quattro livelli dell’amore: l’amore di sé per sé, l’amore di Dio per sé, l’amore di sé per Dio e l’amore di Dio per Dio. Questa quadruplice distinzione può indubbiamente essere utile a chi vuole sapere per chi si digiuna. 

L’amore di sé per sé lascia poco posto alla privazione di cibo. Si tollera certamente il regime dimagrante, che del digiuno è la versione secolarizzata e dunque socialmente accettabile, ma si fatica a vedere più in là della propria immagine riflessa nello specchio. 

L’amore di Dio per sé rimanda ai digiunatori fanfaroni dei racconti evangelici, i quali – dice Cristo – hanno già avuto la loro ricompensa. Hanno inventato l’umiltà ostentata, il digiuno che fa ingrassare l’orgoglio più di quanto svuoti lo stomaco. Quando si sentono dire “ricordati che sei polvere” pensano forse a polvere d’oro. 

L’amore di sé per Dio non ignora il valore igienico del digiuno, ma rivela che il corpo è il tempio dello Spirito santo. Il digiunatore vi tratta il suo corpo di carne come un corpo glorioso nella Speranza. Questo digiuno è un antidoto contro lo spiritualismo – malattia grave quanto la ghiottoneria – ma i cui sintomi sono meglio nascosti o più lusinghieri. 

L’amore di Dio per Dio rivela che in ultima analisi ogni digiuno è eucaristico, cioè è offerta e azione di grazie. Talvolta mal compreso durante il lockdown e assimilato a una privazione di comunione sacramentale, il digiuno eucaristico – che precede e segue la santa manducazione – è una maniera semplice di testimoniare che il Pane disceso dal Cielo supera tutti gli alimenti. E quindi non lo si può ricevere appena finita la colazione, come pure sarebbe fuori luogo gettarsi sulle noccioline dell’aperitivo quando il Corpo consegnato è ancora sacramentalmente presente nel nostro organismo. 

Una partecipazione al sacrificio della messa 

Il digiuno è in questo una delle migliori forme di partecipazione dei fedeli al sacrificio della messa. Benedetto XVI ebbe a ricordare che “partecipare” non significa cantare forte battendo le mani o fare girotondi attorno all’altare. Nel 2007, in Sacramentum caritatis, egli invitava a una partecipazione dei fedeli che sia “una disposizione interiore”, più che “un’attitudine esteriore”, e questo favorendo 

il raccoglimento ed il silenzio, almeno qualche istante prima dell’inizio della liturgia, il digiuno e, quando necessario, la Confessione sacramentale. 

Sì, è sempre per Cristo e con Cristo che si tratta di digiunare, quale che sia la ragione immediata addotta: va da sé che l’amore di Dio per Dio include gli altri, ogni volta che il digiuno diventa una forma di intercessione. Privarsi del cibo rende allora testimonianza della Comunione dei Santi e, attraverso questa, a Cristo, che ha versato ogni goccia del suo sangue per le moltitudini. 

La Quaresima che si apre ci offre dunque quaranta giorni per testimoniare mediante il digiuno che la nostra fede non è disincarnata e che il nostro corpo non è estraneo alla Salvezza. La pienezza della Buona Notizia ci rivela al contempo che Dio ha avuto uno stomaco per esserci più vicino e che Egli ha digiunato per meglio salvarci. Veniamo così salvati da quella schiavitù sotto la quale stanno quanti – secondo l’espressione di san Paolo – hanno per dio il loro ventre. Mentre lo Sposo è assente, digiuniamo non soltanto per riposare lo stomaco, ma soprattutto per prepararci a gustare meglio il festino nuziale dell’Agnello.



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[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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