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È l’umanità il peggior nemico della natura?

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Jeanne Larghero - pubblicato il 24/05/21
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Per uscire dalla narrazione misantropica che li vuole irrimediabilmente “nemici della natura”, «gli esseri umani – tanto fragili e al contempo potenti – hanno fra le mani il grande destino dell’Universo e il suo compimento».

L’umanità ha una responsabilità verso la natura e verso il mondo animale. La presa di coscienza di questa responsabilità non è recente: basta tornare a considerare il modo in cui gli autori della Genesi hanno intravisto il ruolo dell’uomo nella Creazione. L’uomo è il sovrintendente della natura e, in quanto tale, prolunga lo slancio creatore di Dio. Nientemeno! 

E tuttavia, fatti storici come la distruzione di Hiroshima e Nagasaki hanno portato a realizzare dolorosamente il rovescio della medaglia: l’uomo è capace di esercitare una potenza distruttrice, abile ad annientare la natura e le condizioni di esistenza dell’umanità sulla terra. Ecco perché le generazioni “millennials” vivono molto intensamente la dimensione tragica del nostro rapporto con l’ambiente: che cosa hanno fatto le generazioni precedenti? E che cosa saremo ancora capaci di fare? L’essere umano è condannato a non essere altro che un intruso malefico? 

È urgente far uscire le giovani generazioni da quest’attrazione per la narrazione misantropica, dare loro i mezzi per uscire dal malessere di cui spesso danno testimonianza. Non lasciamoci ipnotizzare dal nostro proprio potere di muovere, rovesciamone la ratio: l’umanità ha una ragion d’essere nella natura, una ragion d’essere assolutamente unica. Essa ha in carico la continuità della Creazione, e dispone per questo di due poteri che non sono strumenti di dominio, ma che al contrario lo obbligano nei riguardi della natura. Essa è dotata dell’intelligenza tecnica e della capacità di lavoro grazie alle quali compensa largamente la debolezza delle sue nude mani. 

Essa dispone pure di un altro potere, senza il quale la sua potenza esploderebbe in sete di dominio: la capacità di pensare la finalità della natura. Se vediamo la natura così com’è – non come un paesaggio cristallizzato in un documentario, da preservare identico a sé stesso, ma come un sistema permanentemente interattivo, in costante evoluzione – dobbiamo allora porci la questione del fine dell’universo e del nostro contributo positivo all’universo. La natura, infatti, non è uno scenario esterno all’uomo, e neppure un mero “ambiente”: questa visione povera e orizzontale ci condanna allo status di intruso approfittatore. 

Noi che siamo cristiani disponiamo di una luce supplementare, di una intuizione estremamente potente: l’Universo è in cammino proprio come la storia umana, e questo cammino ha una destinazione. Siamo destinati a portare la natura verso il suo compimento. Affermiamo allora che la nostra nocività potenziale non è quel che ci definisce e che fa di noi il nemico della natura. Affermiamo al contrario la nobiltà della nostra missione: l’universo non può fare a meno della presenza dell’umanità, se abbiamo l’intelligenza di continuare a comprenderne i meccanismi, di curarci della fertilità dei terreni, della diversità delle specie, della bellezza degli spazî aperti. 

Gli elementi naturali hanno non soltanto per scopo di rendere possibile, vivibile e felice la nostra vita sulla terra, ma – permettendoci di esercitare la nostra intelligenza e di ravvivare la nostra sete di contemplazione – hanno pure per scopo l’apertura della nostra anima a Dio. E gli esseri umani, al contempo tanto fragili e potenti, hanno nelle loro mani il grande destino dell’Universo, il suo compimento: dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande, esprimere l’infinita Bellezza di Colui che in tutto si rivela. Ecco perché la nostra responsabilità è immensa. 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio] 

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