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Sant’Ireneo, l’“inventore” dei Quattro Vangeli

Timpano della Primaziale di Saint-Trophime: Cristo in gloria circondato dei quattro viventi, simbolo degli Evangelisti | Provenza

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Agnès Bastit-Kalinowska - pubblicato il 28/06/21
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Perché sono quelli e proprio quelli, i libri fondamentali del Nuovo Testamento? Qual è il cuore del messaggio di ogni evangelista? È stato sant’Ireneo a codificare per noi questa lezione. Riscopriamo l’insegnamento di questo Padre della Chiesa, che fu il primo dottore ecclesiastico a parlare dei Vangeli.

Una delle mie amiche, un tempo commessa di vendita in libreria, mi raccontò questo scambio di battute con un cliente: 

Già: perché quattro vangeli? Per cominciare a rispondere alla domanda, bisogna rivolgersi all’opera di Ireneo di Lione – scrittore grecofono originario dell’Asia Minore che operò intorno al 180 della nostra epoca e che fu vescovo di Lione. La Chiesa d’Occidente lo festeggia il 28 giugno. 

Nella sua grande opera Contro le eresie, Ireneo è effettivamente il primo autore cristiano a parlare dei “Vangeli” – intesi come libri e al plurale –, nonché a interrogarsi sul loro numero. Prima di lui san Paolo, e poi sant’Ignazio di Antiochia, avrebbero parlato di “Vangelo” intendendo la proclamazione della salvezza in Gesù Cristo (donde ancora oggi la buona teologia, in italiano, usa distinguere col nome “Evangelo”, N.d.T.). Verso la metà del II secolo, san Giustino descrisse le assemblee cristiane come imperniate sulla lettura dei profeti e delle “memorie degli apostoli”, espressione che intende con massima probabilità i Vangeli: una ventina d’anni più tardi Ireneo avrebbe meglio precisato. 

Partendo dalla constatazione che quattro ben caratterizzati Vangeli fanno parte del patrimonio della Chiesa, egli li presenta anzitutto in riferimento all’autore, evocando rapidamente le circostanze della loro redazione: 

Da Matteo a Giovanni, dalla prima predicazione palestinese fino all’esperienza giovannea ad Efeso, la capitale colta della provincia d’Asia, passando per la messa per iscritto delle predicazioni di Pietro e Paolo (rispettivamente da Marco e Luca), i Vangeli si aggiungono così gli uni agli altri fino a costituire un insieme di quattro testimonianze. Ce ne sono dunque quattro perché sono quattro, né più né meno. 

Un poco oltre, Ireneo evoca due pericoli legati ai gruppi di cristiani devianti, detti “gnostici”, contro i quali polemizza: 

    I “Vangeli” marginali non lo convinsero, ed Ireneo sembrava temere soprattutto l’impoverimento per riduzione del patrimonio evangelico. Il suo pensiero si volse allora alla meditazione, ma diciamo pure alla contemplazione del dono di Dio nella sua azione rivelatrice. 

    Perché la Chiesa riconosce quattro Vangeli, e qual è la portata di questo numero piano ed equilibrato? Egli si lascia qui guidare da due grandi visioni bibliche, nella quali traspare la continuità profonda tra l’antico e il nuovo testamento: 

      La parola che normalmente si traduce con “vivente”, come anche qui abbiamo fatto, è in greco semplicemente la parola “animale” o “essere animato” – che include anche l’uomo. 

      Sulla base di queste immagini bibliche, è chiaro per Ireneo che si tratta di una manifestazione del Figlio di Dio fatto uomo, del Verbo divino che si rivela mediante quattro “volti” di sé stesso, che egli svela attraverso questi “viventi” che l’accompagnano e lo circondano, insomma che queste visioni non sarebbero altro che una profezia di Cristo sui quattro Vangeli e sulla Chiesa. E siccome quest’ultima è missionaria e l’Evangelo è destinato ad essere portato ai quattro angoli della terra, questa immagine mostra anche come un unico Signore Gesù Cristo porti la salvezza a tutti. 

      Lasciato da parte Ezechiele, Ireneo si concentrò sulla visione dell’Apocalisse, che sulla scia del testo veterotestamentario enumera «una sembianza di leone, una sembianza di vitello (o di giovane toro), una sembianza d’uomo e una sembianza d’aquila» (Ap 4,7) per descrivere i quattro esseri viventi. E difatti il Figlio di Dio fatto uomo è anzitutto unito al Padre e detentore con lui della potenza divina (il leone), ma è pure il sommo sacerdote, l’intercessore unico che ha offerto il vero sacrificio per la salvezza del mondo (il vitello o il giovane toro dei sacrificî espiatorî del culto giudaico); naturalmente è pure uomo, essendosi fatto uno di noi, e poiché ci porta verso il Cielo e ci manda lo Spirito, assomiglia a un’aquila in volo. A partire da questo, sulla base forse di tradizioni orali anteriori, Ireneo tentò di applicare questa intuizione ai quattro Vangeli concretamente recepiti dalle Chiese. 

      Il Vangelo di Giovanni, fin dal suo Prologo, manifesta particolarmente la grandezza e la maestà divina del Verbo, anche in quanto uomo. Il Vangelo di Luca si apre su una scena di culto sacrificale nel tempio di Gerusalemme, e soprattutto mette al proprio centro – attraverso la parabola “del figlio prodigo” – il vitello grasso che il Padre ha sacrificato «per il ritorno del figlio» (cf. Lc 15,23). In Matteo Cristo appare veramente uomo, con la sua genealogia, mediante il legame che mostra per il proprio popolo e per la legge – nonché per la pazienza che ne lo manifesta «mite e umile di cuore» (Mt 11,29). Marco infine si apre con lo choc dello Spirito, che cala su Giovanni Battista e lo rende «voce di Dio nel deserto» (cf. Mc 1,3) e si chiude su Gesù «elevato al cielo e seduto alla destra del Padre», nonché sulla predicazione ispirata degli apostoli che portano la parola «dappertutto» (Mc 16,19-20): si tratta dunque di un Vangelo che manifesta l’azione dello Spirito, plasticamente reso col volo dell’aquila. 

      A questo punto, ci si sorprenderà forse delle identificazioni tra le facce (o immagini) dei viventi: la tradizione di cui dà testimonianza Ireneo, e che si sarebbe attestata in diverse Chiese fino alla fine del IV secolo, associa infatti Giovanni al leone e Marco all’aquila, come abbiamo visto. Ora, l’attribuzione degli animali divenuta corrente in Occidente non è questa, perché se Matteo è sempre legato alla figura d’uomo e Luca a quella del bovino, gli animali associati a Marco e a Giovanni sarebbero stati invertiti dal biblista san Girolamo, che avrebbe preferito partire dalla visione di Ezechiele e dal suo ordine “uomo-leone-vitello-aquila” (Ez 1,10) – ordine che avrebbe sovrapposto a quello redazionale dei Vangeli così come si trovava in Origene (è l’ordine giunto fino alle nostre edizioni; Matteo, Marco, Luca e Giovanni). 

      La si pensi come si vuole in merito a queste due versioni, ma l’idea centrale di Ireneo è sempre percettibile sui timpani o sulle vetrate delle chiese medievali (e prima ancora sui mosaici nei catini absidali): un unico Verbo di Dio, il Signore Gesù Cristo, si offre a conoscenza attraverso le quattro principali dimensioni della sua opera di salvezza, nel tesoro che per la Chiesa è in eterno lo scrigno dei Vangeli. Quattro: né più né meno. 

      [traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio] 

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