L’episodio del roveto ardente sopraggiunge, nell’Antico Testamento, in un momento cruciale della storia del popolo di Israele. Mosè è appena stato cacciato dall’Egitto dal Faraone perché ha ucciso un Egizio che aveva colpito a morte un ebreo ridotto in schiavitù.
Una nuova vita s’era allora imposta a Mosè, il quale trovò rifugio presso i Madianiti – tra le cui donne avrebbe trovato una moglie. Quest’uomo che fin dall’infanzia era stato tra i potenti della corte del Faraone si trovò a un tratto in testa a un semplice gregge, come riporta la Bibbia:
Le vie di Dio sono impenetrabili – ricorda san Paolo in una delle sue epistole – e tale è l’esperienza che ne fece Mosè. La sua curiosità e la Provvidenza l’avrebbero condotto verso un arbusto, lì sulla montagna che poi sarebbe stata detta “di Dio”. Il roveto, precisa curiosamente il racconto biblico, era in fiamme ma non si consumava:
La ragione umana si trova superata dall’evento inattuale, poiché a questo mondo il fuoco consuma, normalmente, ciò che avvince. Qui, invece, l’arbusto arde ma non si consuma: è un roveto ardente, è fiammeggiante ma non finisce in cenere.
È per questa incoerenza agli occhi umani che la gloria di Dio si manifesta pienamente – cosa che chiamiamo “teofania”, vale a dire un’apparizione (o manifestazione) radiosa di Dio. Allo stesso modo il roveto ardente visto da Mosè era luminoso, ardente, ma non in modo devastante, come per dimostrare che troppo spesso le nostre categorie sono insufficienti a comprendere pienamente le vie di Dio.
Poiché però il roveto ardente rappresenta la potenza divina in tutta la sua forza e grandezza, Mosè si vide subito rivolgere un’ingiunzione importante:
La sacralità stessa di questo luogo montano, l’Oreb oltre il deserto, “la montagna di Dio” (precisa la Sacra Pagina), s’impone qui attraverso l’irraggiamento del fuoco divino promanante dal roveto ardente. Mosè fu allora indotto ad assumere un’attitudine rispettosa togliendosi i sandali e velandosi il viso per il timore di portare lo sguardo su Dio. Queste prescrizioni sarebbero poi state riprese in riti giudaici e cristiani – e ciò fino ai nostri giorni, perché la cappella del convento di Santa Caterina sul Sinai, fondato in Egitto nel VI secolo dall’imperatore Giustiniano, impone ancora oggi ai visitatori l’obbligo di scalzarsi prima di entrare nel luogo in cui il roveto ardente si sarebbe manifestato a Mosè.
Sarebbe poi accaduto che proprio in un contesto tanto straordinario – l’apparizione di Dio a Mosè – a quest’ultimo sarebbe stata affidata una missione non meno straordinaria:
Due elementi-chiave della fede di Israele emergono dunque nel racconto biblico del roveto ardente: l’identità del Dio di Abramo e la vocazione di Mosè a guidare il suo popolo fuori dall’Egitto verso la Terra promessa. Il fuoco che si sprigiona dal roveto ardente dimostra che nulla è impossibile a Dio, e che un popolo in apparenza abbandonato da tutti può ancora sperare se sa ascoltare la voce divina.
Non desta stupore, poi, che fin da subito i Padri della Chiesa abbiano accostato la Vergine Maria al roveto ardente, poiché ricevette il fuoco dello Spirito Santo e divenne madre senza perdere la verginità. Un parallelo che avrebbe ispirato moltissimi grandi artisti, come Nicolas Froment, nel XV secolo, il quale all’episodio dedicò un superbo trittico in cui la Vergine troneggia col Bambino Gesù nel cuore stesso del roveto.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]