La crocifissione precede l’Ascensione, ma talvolta quest’ordine si inverte quando il Papa parla in aereo con i giornalisti. Le redazioni pagano delle fortune per salire a bordo dell’aereo papale, una specie di “Air Force Catto-One”. E ne vogliono ricavare altrettante.
La conversazione a porte chiuse può allora diventare una specie di scena del crimine: inchiodare la parola del Papa sul muro del suono… che sogno! Ogni frasetta cade allora sulla terra come un meteorite facendo un fracasso apocalittico. Benedetto XVI ne fece esperienza nel 2009: andando in Camerun aveva dichiarato che la diffusione dell’AIDS non «può essere regolato» con la «distribuzione di preservativi», e che «al contrario, il loro utilizzo aggrava il problema». Fu mal compreso o si espresse male? La spada che usciva dalla sua bocca fu trasformata in testata nucleare, e le ali dell’aereo papale si ritrovarono come ricoperte di piombo. Il passeggero mitrato diede l’idea di aver perduto la lucidità, forse per i diecimila metri d’altitudine. Scendere a terra, dopo l’episodio, fu durissimo.
Informare o comunicare?
Eppure il rituale continuò, come se bisognasse perpetuare la tradizione instaurata da Giovanni Paolo II superstar. Papa Francesco non sembra avere intenzione di abbandonarla. Secondo il vaticanista Bernard Lecomte, intervistato su Le Parisien, «l’aereo esacerba il lato latino del Papa […], che ama improvvisare». Per di più, «lo spazio contenuto e la durata dei viaggi» aumentano la pressione. Nel solo 2016 Francesco strigliò Donald Trump sul muro anti-migranti alla frontiera col Messico («Una persona che pensa soltanto a costruire muri tra le persone e non ponti non è cristiana») e propose un’ardita similitudine in occasione della GMG in Polonia («Se parlo di violenza islamica, devo parlare anche di violenza cattolica»).
Come leggere queste frasette? Per l’esperto in comunicazioni Dominique Wolton, «l’informazione è il messaggio. La comunicazione è la relazione»:
Ascoltare e saper ascoltare
Non basta che ci sia un messaggio: quello che conta sono le condizioni (preesistenti) alla sua ricezione. Ascoltare è una cosa; poi bisogna esserne capaci e volerlo. In comunicazione, quel che è detto è meno importante di chi lo dice e del modo in cui lo dice. Forte di una legittimità inattaccabile, Madre Teresa poteva dire quello che voleva, e tutto il mondo l’ascoltava. La parola dei Papi funzionava anch’essa in una dinamica di autorità analoga, che riattivava il prestigio della pompa associato a tutto un discorso fondato sull’evidenza divina: la Chiesa, come Dio, «non può né ingannarci né ingannarsi», si leggeva nel catechismo.
Questa credenza è dissolta – sul versante della vita spirituale come per quella sentimentale o politica. Oggi chiunque deve guadagnarsi la propria credibilità, Dio compreso. I Papi, come tutti, faticano a scendere dalla cattedra e a non sovrastare più gli altri. Paradossalmente, la mediatizzazione ha rinforzato l’immagine monarchica con cui ci si immaginava che il Vaticano II volesse rompere. Quando il Papa parla in aereo, il punto non è l’altitudine: non sta giocando in casa, ma nell’arena polverosa dei media. Questo genere di conversazioni sornione assomiglia al gioco delle tre carte: chi sta cercando di imbrogliare chi? Raramente il Papa esce vincente dalla partita.
Il Papa a proposito di mons. Aupetit
Di ritorno dal viaggio a Cipro e in Grecia, Francesco è stato chiamato a dire una parola su una questione di amministrazione ecclesiastica: le dimissioni di mons. Michel Aupetit. Proviamo a fare un’analisi lineare:
Commento: Il Papa parla di un “caso” e non menziona il titolo dell’arcivescovo dimissionario. La sua domanda destabilizza: sembra rispedire al mittente l’onere della prova, come per far ammettere ai giornalisti che non sanno di cosa parlano. E infatti:
Commento: Queste domande retoriche illustrano l’attitudine offensiva del Papa, che incalza l’uditorio a trincerarsi e lo invita a interrogarsi sulle proprie pratiche.
Commento: Questo “qualcos’altro” è il tripudio della pudicizia borghese del XIX secolo. Dicendo così, la giornalista vuole mostrare di non essere sciocca: è chiaramente il governo a essere in questione, il resto pur non essendo accessorio serve da alibi.
Commento: Il Papa insiste nel suo argomento e sfida i media sul terreno frapposto. È colpa dell’opinione pubblica. Come se ne esistesse una! L’opinione pubblica è l’opinione che i media fanno germogliare tra la gente, come preferiscono. Questa dichiarazione papale è ardita: se c’è una colpa, essa viene anzitutto dal clero in questione e poi dalla sua gerarchia. Il Papa chiede ai giornalisti di indagare, ma questi si aspettano piuttosto che lui riferisca di inchieste fatte dalla Santa Sede. Francesco finge di non sapere, come se la cosa non avesse importanza, e ciò facendo accredita la tesi per cui sarebbe il governo dell’arcivescovo il nodo dell’affaire – cosa di cui egli doveva aver conoscenza da molto tempo e che spiegherebbe la rapidità della decisione presa.
Commento: Questa replica contrasta con la distanza finora frapposta tra le dichiarazioni e i fatti. All’improvviso il Papa scende in dettagli scenografici, come a smorzare il capo d’accusa.
Esaminare nel contesto
Commento: Il richiamo alla gerarchia dei peccati si impone, effettivamente. Ma come la si può comprendere, nel contesto degli abusi sessuali? Tanto più che, sempre a bordo dell’aereo, Francesco invita alla prudenza nell’“interpretazione” del rapporto Sauvé. Ai suoi occhi, una “situazione storica” deve essere esaminata nel contesto dell’epoca. Anche su questo si è teso a relativizzare, benché il punto sia passato in sordina per via dell’esposizione del “caso Aupetit”.
Commento: I fedeli devono smetterla di adulare i chierici, di farne dei superuomini. Quest’attitudine conduce all’accecamento e al disprezzo: essa prospera in un mondo gremito di imperativi paradossali: meno la società si impone limiti morali, più quanti la rappresentano – chierici o laici – devono essere impeccabili (ovvero impeccanti). Se l’amicizia di mons. Aupetit è spirituale, dov’è il problema? E se non lo è stata, il “Monopoli spirituale” non prevede già una casella confessione-penitenza? Quindi torna la domanda: perché il Papa ha accettato le dimissioni di mons. Aupetit se i fatti da lui descritti non la giustificano? E così arriviamo all’ultimo argomento.
Il rumore e la verità
Commento: Quest’ultimo passaggio fa da complemento al precedente. Qui sembra che il Papa dica che, se fosse stato solo per lui, non avrebbe accettato le dimissioni di mons. Aupetit. Francesco rifiuta di pronunciarsi sulla sostanza del caso propostogli dalla giornalista: si accontenta di dire che i media, disfacendo reputazioni, creano situazioni ingovernabili. Il “caso Aupetit” farà giurisprudenza, come teme il vaticanista Christophe Dickès? Ogni chierico accusato per via mediatica non avrà altra scelta che dimettersi? Non è sicuro che il Papa si orienti a questo tipo di automatismo: la sua ultima frase è potente ma lascia perplessi. Anche con tutte le precauzioni che ha preso, è la sua decisione che sembra far trionfare l’ipocrisia e il rumore sulla verità e sulla giustizia.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]