Charle (senza “s”) non è il miracolato che uno potrebbe immaginarsi: scarpe da tennis, polo e barba da hipster… eppure questo carpentiere ventiseienne ha attratto l’attenzione della Chiesa per essere sopravvissuto da una caduta di una quindicina di metri, il 30 novembre 2016, mentre lavorava al restauro della cappella dell’Institution Saint-Louis (Saumur).
Trafitto da un utensile e trasferito d’urgenza in ospedale, ne è uscito miracolosamente indenne. Miracolosamente… e nella fattispecie per l’intercessione di Charles de Foucauld. L’abbiamo incontrato.
Agnès Pinard Legry: Che cosa è accaduto il 30 novembre 2016?
Charle: Era stata una giornata come tante altre: avevo lavorato al restauro della navata della cappella presente all’interno dell’Institution Saint-Louis di Saumour, uno stabilimento scolastico. La mattinata era trascorsa normalmente. Alla fine del pomeriggio, però, quando sulle impalcature eravamo rimasti in due, ho messo un piede in fallo e sono caduto da una quindicina di metri, prima ritrovarmi infilzato sul piede di un bancale che si trovava girato.
A. P.L.: A che cosa ha pensato, durante la caduta?
C.: Ho pensato soprattutto a proteggermi: non volevo rompermi le gambe e allora mi sono messo di fianco e ho cercato di proteggermi la testa. Ho chiuso gli occhi, poi li ho riaperti quando ero a metà del volo e quindi li ho richiusi. Arrivando al suolo, mi sono subito rialzato e non ho notato immediatamente che avevo un pezzo di legno in me, per quanto mi passasse da parte a parte per una quindicina di centimetri!
A. P.L.: E poi che cosa è accaduto?
C.: Non sono voluto passare dalla porta principale, perché la cappella dà sul cortile della scuola e non volevo traumatizzare i bambini. Allora ho preso una porta laterale, sulla destra, e ho chiesto a due professori di chiamare i soccorsi. È arrivato un elicottero, ma non ci sono potuto salire per via di quel pezzo di legno: è in ambulanza che sono arrivato all’ospedale di Angers, però in quel momento non ero più cosciente.
A. P.L.: Ha temuto per la sua vita?
C.: La cosa strana è che sul momento non avevo realizzato quanto fossi stato fortunato. Ho minimizzato la cosa, come se mi fossi slogato la caviglia. Vedendo invece la reazione della gente, dopo, mentre passeggiavo nel corridoio dell’ospedale, ho cominciato a realizzare. E poi la reazione del mio chirurgo, dei miei cari e del mio datore di lavoro, che è ancora il mio capo e che è venuto a trovarmi in ospedale, mi hanno fatto capire che una caduta come quella era mortale.
A. P.L.: Come ha reagito quando le hanno parlato di miracolo, di Charles de Foucauld, e poi anche della procedura da seguire perché quanto le è accaduto venisse riconosciuto come miracolo?
C.: Io non conoscevo Charles de Foucauld, è stato François Asselin, il mio capo, che me ne ha parlato quando ero in ospedale. Mi ha passato un fumetto su di lui dicendomi che quanto mi era accaduto non era una sciocchezza, e che voleva che io scoprissi quel personaggio.
Per quanto riguarda la procedura da seguire per vedere se quel che stavo passando potesse essere riconosciuto come un miracolo, non ho esitato: quando François Asselin è venuto a chiedermi se la cosa potesse interessarmi, spiegandomi che eventualmente la cosa sarebbe servita alla canonizzazione di Charles de Foucauld, mi sono detto “perché no? la cosa non mi dà fastidio”. Visto e considerato che non mi ero fatto niente, se questo fosse potuto servire a Charles de Foucauld, mi sono detto “e proviamoci”.
A. P.L.: E questo non ha stupito i suoi cari, visto che lei non è credente?
C.: Concretamente la cosa è partita all’inizio del 2018: siamo andati a trovare il mio medico, ed è stato mons. Ardura, il postulatore della causa presso la Santa Sede, che mi ha accompagnato. L’idea era quella di analizzare la caduta e valutarne le conseguenze. Siamo andati anche a sentire altri medici di Angers, e poi chirurghi e psichiatri. L’idea era veramente di studiare se quanto mi era capitato fosse scientificamente spiegabile o no.
A. P.L.: Questo ha cambiato qualcosa del suo rapporto con Dio?
C.: Non ero credente prima della mia caduta, e non lo sono neanche adesso. Mia madre un po’ lo è, mio padre no, e mia nonna sì. Sono stato in una scuola di religiosi alle elementari, ma non alle medie. E poi ero già entrato altre volte in chiesa, o per lavoro o per cose di famiglia tipo funerali… Mi ha fatto piacere conoscere meglio Charles de Foucauld, ma non mi sono poi legato molto alla sua figura.
A. P.L.: C’è un prima e un dopo il miracolo?
C.: Non direi. Ho fatto astrazione da tutto quanto è accaduto e sono tornato alla mia vita, al mio mestiere.
A. P.L.: Insomma lei è un miracolato che non crede?
C.: C’è sempre una parte di domanda, per forza di cose… però non mi definirei effettivamente un credente. Forse Charles de Foucauld mi ha aiutato a non riportare conseguenze, forse no… non lo so. In ogni caso, sono contento di aver potuto dare una mano, nel mio piccolo, per la sua canonizzazione.
A. P.L.: Presenzierà alla canonizzazione di Charles de Foucauld, il prossimo 15 maggio?
C.: Ma certo! Ci sarò con entrambi i miei genitori!
A. P.L.: E che cosa si aspetta?
C.: Di vivere un bel momento! Mi avevano detto che il riconoscimento di un miracolo poteva durare due anni come dieci, e quindi sono felice di potervi assistere. Magari sarà un’occasione per incontrare il Papa, per scoprire quell’ambiente religioso: Roma, il Vaticano, quello che succede…
A. P.L.: Se avesse l’occasione di rivolgergli una parola [al Papa, N.d.R.], che cosa vorrebbe dirgli?
C.: Non so davvero, penso che sarei sorpreso. Magari vorrei semplicemente parlarci un po’, e forse sarebbe lui ad avere delle domande!
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]