Risponde padre Francesco Romano, docente di Diritto Canonico
Gesù con la parola e i segni messianici ha annunciato il Regno di Dio, ha rivelato la sua identità e reso credibile la sua missione. La costituzione dogmatica sulla Chiesa «Lumen gentium» dichiara che i miracoli confermano l’esistenza del Regno di Cristo sulla terra. Il miracolo contribuisce a realizzare e autenticare la rivelazione divina. Gesù è la pienezza della rivelazione divina che continua a prolungare nel miracolo la sua funzione messianica e salvifica (LG 5).
La Chiesa ha sempre considerato la prova del miracolo come un requisito necessario per la canonizzazione perché solo a Dio può essere attribuito il miracolo, ma il suo effetto si realizza per l’intercessione di colui che i fedeli considerano già pienamente accolto nella gloria dei santi. Vi è stretta continuità tra i miracoli di Gesù con i miracoli che accadono ancora oggi, per questo nella teologia del miracolo il binomio santità e miracolo si saldano tra di loro.
Nelle cause di beatificazione e canonizzazione il miracolo assume valore di prova se è sostenuto dall’apparato probatorio delle deposizioni dei testimoni, dalla documentazione e dai pareri dei periti. Una procedura che andando oltre le congetture e le argomentazioni umane proprie di un processo, diventa espressione dell’approvazione soprannaturale o della ratifica di Dio dell’accertamento umano eseguito sulla santità di una persona.
A questo proposito S. Tommaso ha definito il miracolo come la conferma della santità della persona che Dio vuole presentare come modello di virtù al suo popolo e secondo la sua dottrina sono state individuate tre classi di eventi miracolosi: 1) quello che supera le leggi della natura in modo assoluto, detto anche “miraculum quoad substantiam”, e si riferisce a quei fenomeni che non possono verificarsi in questo mondo naturale, per esempio il corpo glorificato, oppure due corpi che coesistono simultaneamente nello stesso luogo e nello stesso momento; 2) quello che supera le leggi della natura in modo non assoluto, cioè non per il fatto in sé, ma per il soggetto in cui si realizza, per esempio la risurrezione di un morto o la crescita di un arto amputato. Infatti la natura è capace di generare la vita, ma non in un morto, come pure di far crescere un membro, ma non quello amputato; 3) quello che supera le leggi della natura “miraculum quoad modum”, ma non nella sostanza, per esempio una guarigione istantanea di una malattia senza ricorrere ad alcuna cura, la cicatrizzazione di una ferita in modo istantaneo. In natura queste cose possono avvenire, ma non nell’arco di un istante. Quindi un miracolo dovuto alla modalità dell’evento, «quoad modum».
Il cardinale Prospero Lambertini qualche anno prima di salire al soglio pontificio nel 1740 con il nome di Benedetto XIV raccolse e commentò tutta la legislazione fino ad allora esistente nell’opera «De Servorum Dei Beatificationis et Beatorum Canonizatione» in cui tra le altre cose formulò alcuni criteri per definire il miracolo nelle cause di canonizzazione. Relativamente alle guarigioni: malattia grave; prognosi infausta; impossibilità di guarire con i mezzi della medicina; guarigione istantanea e duratura; connessione tra guarigione e preghiere rivolte a Dio per intercessione del servo di Dio.
Oltre alle guarigioni e ad altri miracoli nell’ordine fisico, potrebbero essere ravvisati miracoli di natura morale come per esempio la guarigione dalla droga o dall’alcoolismo, un’improvvisa conversione. La Congregazione delle Cause dei Santi non accetta i miracoli morali perché non si può provare che siano miracoli e neppure si può garantire il perdurare del cambiamento.
Fino al primo millennio nella Chiesa le raccolte dei miracoli e gli atti dei martiri trovarono una grande diffusione al punto che il miracolo divenne il criterio per giudicare la santità nella canonizzazione vescovile in occasione della «translatio» e della «elevatio» dei resti mortali di coloro che erano morti in concetto di santità.
Una svolta decisiva è data dalla pubblicazione delle Decretali di Gregorio IX nel 1234 che riserva la canonizzazione esclusivamente al Romano Pontefice. Dal XIV a XVI secolo l’accertamento del miracolo viene affidato a una Commissione che diventa fondamentale per riconoscere se davvero il fenomeno sia da collocarsi al di sopra delle leggi della natura, se sia avvenuto in seguito all’invocazione del servo di Dio e se abbia contribuito a rafforzare la fede. In seguito sarà competenza di un collegio di medici di esprimersi se la guarigione sia da considerarsi come miracolosa.
Il 17 settembre 1743, fu creato un Albo specifico da Benedetto XIV. Più recentemente, Pio XII istituì presso la Congregazione dei Sacri Riti, il 20 ottobre 1948, una Commissione di Medici, cui aggiunse, il 15 dicembre 1948, uno speciale Consiglio Medico. Giovanni XXIII, il 10 luglio 1959, unificò questi due organismi nella Consulta Medica, approvandone il Regolamento. Alla luce di nuove esigenze e in base alla Costituzione apostolica Sacra Rituum Congregatio dell’8 maggio 1969, si procedette a un’ulteriore revisione delle norme del Regolamento, che fu approvato da Paolo VI il 23 aprile 1976. L’ultimo Regolamento è stato approvato il 23 settembre 2016. Nei Regolamenti di questi collegi consultivi è netta la separazione della parte relativa agli esami dei medici che resta estranea dalla discussione teologica sul miracolo. La decisione finale resta comunque del Papa che non è vincolato né dal parere dei medici né da quello dei teologi.
La legislazione vigente prevede l’accertamento di un miracolo prima di proclamare la beatificazione e successivamente un altro prima della canonizzazione tanto per i beati in genere che per i confessori. Per la beatificazione di un martire non serve il miracolo, viene riconosciuto il martirio; mentre è richiesto il miracolo per la canonizzazione di un beato martire.
La beatificazione e la canonizzazione equipollente, ancora abbastanza rare ma non infrequenti, sono la via del «casus exceptus», cioè la procedura con cui il Papa, quantunque in assenza del miracolo, potrebbe approvare per decreto un culto esistente successivo al pontificato di Alessandro III († 1181) e antecedente al 1534, così come fu stabilito da Urbano VIII (†1644), di un servo di Dio non ancora beatificato o canonizzato.
In conclusione, il miracolo è richiesto nelle cause di beatificazione come il segno dell’approvazione soprannaturale da parte di Dio, il «dito di Dio» che ratifica il giudizio umano sulla santità di vita, sull’esercizio eroico delle virtù cristiane o del martirio di chi è promosso alla beatificazione o alla canonizzazione.