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Parla Claude Rault: De Foucauld, «un uomo radicalmente fraterno»

Une statue de Charles de Foucauld, à Nazareth.

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Cyprien Viet - pubblicato il 11/05/22
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Mons. Claude Rault, vescovo emerito di Laghouat-Ghardaïa, in Algeria, rende testimonianza della sua filiazione spirituale rispetto a Charles de Foucauld, «un uomo radicalmente fraterno».

Compiuti 82 anni, mons. Claude Rault continua a vivere con entusiasmo l’eredità spirituale di Charles de Foucauld. Questo Padre Bianco, arrivato in Algeria negli anni 1970, ha vissuto diversi decenni di missione presso popolazioni arabe e tuareg di Algeria. 

Dal 2004 al 2017, in qualità di Vescovo di Laghouat, vasta diocesi che copre il Sahara algerino, ha vissuto l’esperienza dell’incontro fraterno con una popolazione essenzialmente musulmana, puntellata qua e là di alcune comunità cristiane. 

Aleteia: Come Charles de Foucauld l’ha ispirata nella sua personale vocazione di Padre Bianco? 

+ Claude Rault: Anzitutto l’ho conosciuto in modo relativamente lontano, nella mia giovinezza, leggendo la biografia che ne scrisse René Bazin. La sua personalità mi aveva attratto, ma senza andare oltre. In seguito, durante il seminario, il suo approccio mi è molto piaciuto, insieme con la mia attrazione per il deserto. E quando mi sono recato nel Sahara, dove ho vissuto 45 anni, poco a poco mi sono lasciato impregnare dalla spiritualità di quest’uomo, anzitutto nel senso della preghiera, dell’intensità della sua vita di preghiera. 

Poi mi sono reso conto che era un uomo di relazione, con un approccio all’altro – chiunque egli fosse (ateo, musulmano, vicino o lontano) – molto rispettoso… Coltivava un grande senso della fraternità. Dunque è rimasto un uomo che mi ha molto ispirato, nella mia missione. E nel 2004, quando sono stato nominato vescovo, ho ereditato anche la causa di beatificazione di Charles de Foucauld, e a quel punto mi sono avvicinato molto di più a lui nella mia spiritualità personale. Lo incontravo attraverso la sua famiglia spirituale, presente nella diocesi: i Piccoli Fratelli di Gesù, le Piccole Sorelle di Gesù, i Piccoli Fratelli del Vangelo. Era un’incarnazione vivente della sua spiritualità. 

A.: Si può dire che il suo percorso mostra come la fede cristiana si sviluppi anzitutto nella relazione a un’alterità, a un altro che nel caso magari neanche condivide la nostra medesima fede? Questa esperienza permette di collocare la verità di un radicamento cristiano? 

+ C. R.: Sì, e ciò passa mediante una lenta maturazione. Dopo la sua conversione, egli ha ricercato per 15 anni il modo di esistenza mediante il quale poteva consacrarsi a Gesù. Ci è voluto del tempo: 15 anni! In particolare ha avuto un’esperienza monastica, poi è a Nazaret che ha ricevuto la luce di Gesù come “Fratello universale”. È su quella che si è basata la sua vita, e da lì ha voluto raggiungere Gesù fin nei punti più remoti, a Beni Abbès, a partire dal 1901. 

Laggiù ha voluto realizzare questo stile di vita interamente rivolto verso Gesù, in particolare tramite l’adorazione del Santissimo Sacramento, e poi ha sperimentato la relazione con le popolazioni locali. Molti venivano a trovarlo. Collegava la presenza di Gesù nell’Eucaristia alla presenza per l’altro che lo sollecitava. Questo ha allargato molto fortemente la fraternità che desiderava vivere. 

A.: Sappiamo che Charles de Foucauld era pure un erudito, un uomo di lettere. Oggi gli si riconosce il servizio reso alla cultura e all’identità tuareg? 

+ C. R.: I Tuareg stanno nella loro cultura, non hanno bisogno che si parli di loro. Con l’impegno nel voler apprendere la loro lingua e nel mettere a punto il dizionario francese-tuareg in quattro volumi, de Foucauld ha voluto lavorare per più tardi, per gli altri. Non necessariamente per i Tuareg stessi, che non ne avevano bisogno: da loro lui ha imparato tutto. 

Era però un intellettuale e un erudito, oltre che un mistico. Il suo dizionario è sempre un punto di riferimento per i Tuareg, e anche per le persone che abbordano la lingua berbera. Da allora non è più stato un edito un dizionario altrettanto sviluppato. È per rispetto e per amore di questa cultura in cui viveva che egli ha attuato il suo fantastico lavoro di inculturazione attraverso la lingua. 

A.: Qual è la fecondità di Charles de Foucauld oggi in Algeria? È una figura conosciuta e rispettata dalla popolazione, e in particolare dai musulmani? 

+ C. R.: Charles de Foucauld non era un islamologo, e la sua conoscenza dell’islam era molto più superficiale di quella, per esempio, di Louis Massignon [1883-1962 – Professore al Collège de France che fu specialista del pensiero musulmano, e che fu considerato precursore nel dialogo interreligioso, N.d.R.]. Il pungolo che lo spingeva verso gli altri era la fraternità, ed è questo il grande messaggio per la Chiesa di oggi, messo di nuovo in luce da papa Francesco. Alla fine di Fratelli tutti egli cita Charles de Foucauld, che ha realizzato e suscitato la fraternità universale. 

A.: I martiri cristiani della guerra civile di Algeria degli anni 1990, beatificati a Oran nel 2018, si iscrivono anch’essi nella sua discendenza spirituale? 

+ C. R.: Io credo che tutta quanta la Chiesa di Algeria sia interamente in quel respiro. In modo più o meno diretto, essa ha fatto sue le grandi intuizioni di Charles de Foucauld, che si è inserito in questa Chiesa nordafricana. È un faro per la nostra Chiesa del Maghreb, nonché per la Chiesa universale. 

A.: Quale messaggio la sua canonizzazione indirizza alla Chiesa e ai cattolici di oggi? È un invito a non aver paura dell’alterità, del rapporto con l’altro? 

+ C. R.: Io credo che quel che fonda la nostra identità cristiana sia lo slancio verso l’altro, quale che sia: questo sguardo che si deve portare sull’altro riconoscendolo come un fratello o una sorella. Non per “investire” l’altro, ma per presentarsi a lui come una nuova pagina di Vangelo. 

Charles de Foucauld aveva in particolare la preoccupazione dei più poveri, e aveva scritto a Louis Massignon nel 1916, anno della sua morte, questa frase essenziale: «Non c’è parola che abbia prodotto su di me tanto effetto quanto questa: “Tutto quanto avrete fatto ai più piccoli fra i miei, lo avrete fatto a me”». Aveva tutto, e tutto ha lasciato per stare con chi non aveva nulla. Era un uomo radicale, un uomo talmente fraterno! Il suo grande messaggio è quello della fraternità e del rispetto dell’altro per ciò che egli è – nella sua cultura, nella sua religione, senza cercare di circuirlo, ma avendo lo scrupolo di farne un fratello. 

A.: Si dice spesso che i giovani vivono una ricerca di radicalità che si esprime talvolta in direzioni pericolose, che fratturano la società. Charles de Foucauld ha mostrato che la fraternità può essere in sé stessa un impegno radicale? 

+ C. R.: Io credo che lo sia, perché ricercare la fraternità significa esporsi all’altro, liberarsi da ogni forma di riparo frapposto fra me e l’altro, tra Chiesa e mondo. Gesù ci ha voluti nel mondo. Io credo che sia un grande messaggio per oggi. 

In certi ambienti cattolici assistiamo a una sorta di pavido ripiegarsi su di sé perché si ha paura dell’incontro con l’altro, laddove esso può costituire una bella avventura. Gesù stesso è uscito dalla propria cultura per andare a unirsi agli altri. È questo il grande messaggio che ci ha lasciato!

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio] 

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