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Un cristiano ha diritto a disinteressarsi di politica? 

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Xavier Patier - pubblicato il 07/06/22
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La politica è una tentazione, proprio come il rifiuto o il disprezzo della politica. Come risolvere questo stallo contraddittorio? Lo scrittore Xavier Patier osserva che, nell’azione o nella contemplazione, il cristiano ha sempre un destino politico.

Per ciascuno di noi c’è la grande tentazione, in alcuni momenti, di rinunciare ad ascoltare quel’“eterno cicaleccio”, come dice Chateaubriand – cicaleccio in cui si riassume la politica [francese]. La cosa valeva perfino nelle epoche più grandi, dai tempi di Saint-Simon fino ai nostri giorni, ora che i blogger hanno sostituito i memorialisti: la lingua si è liquefatta, ma la natura umana è meravigliosamente costante nella sua disperante mediocrità. Il Grand Siècle ha avuto le sue piccinerie; il nostro ha la sua nobiltà. 

La politica passerà 

Che fare? Votare, senza dubbio, quando ci sono delle elezioni. E votare in coscienza. Eleggere un deputato. Amare il tempo e il luogo che ci appartengono, perché sono il tempo e il luogo che Dio ha voluto come quadro della nostra santità. Invece di denigrare la nostra epoca, amiamola. L’amore per la nostra epoca non può però diventare una passione. Partecipare alla vita politica non significa, per un cristiano, metterci del sacro furore. La terra e il cielo passeranno, la politica passerà: non dimentichiamolo, in tempo di campagna elettorale. 

Sulla questione, Armand de Rancé, riformatore della Trappa, ha scritto pagine decisive che nessuno legge più, perché sembrano destinate ad altri – ai monaci ritirati nell’eremo. Esse meritano tuttavia di essere citate. Egli ci ricorda che i religiosi sono «angeli che proteggono gli Stati con la propria preghiera». Sono quindi il cuore della città. 

Armand de Rancé, però, afferma anche che dobbiamo tutti porci davanti al mondo «come se non ci vivessimo più», e che fino a un certo punto dobbiamo ignorare quel che vi accade, e fare in modo che «i suoi eventi e le sue più importanti rivoluzioni non arrivino fino a noi». 

Dobbiamo essere capaci di fare a meno di leggere notizie, dobbiamo diventare capaci di rinunciare alla nostra dipendenza dall’attualità. Dobbiamo conoscere i nomi dei ministri? Nient’affatto – afferma l’abate Rancé: il nome di quanti ci governano deve esserci noto solo quando si tratterà di pregare Dio per loro. 

Una duplice tentazione 

Armand de Rancé, dunque, ha rinunciato al mondo per pregare per il mondo. E allora vi ha veramente rinunciato? Aveva giurato di non pubblicare mai alcun libro, perché l’edizione di un libro è un esercizio di vanità. Il suo amico Bossuet, però, avendo avuto fra le mani i testi delle sue conferenze, lo supplicò di raccoglierle e di pubblicarle. Rancé resistette, ma il libro fu composto. Rancé gettò l’opera nel fuoco, poi alla fine lo recuperò – calcinato per metà – e si mise a ritoccarlo, a perfezionarlo, per consegnare finalmente il suo De la sainteté et des devoirs de la vie monastique, che il vescovo di Meaux [il già ricordato Bossuet, N.d.T.] fece pubblicare il 10 maggio 1685 – cosa che ci permette di citarlo oggi. 

Eterno conflitto fra la tentazione della vita pubblica e la tentazione della vita ritirata. Guardiamo dom André Louf: egli esitò fra la promozione della propria rivista e l’eremo certosino. Era abitato dall’assillo della visibilità e dalla tentazione del ritiro, o se si preferisce dalla tentazione della visibilità e dall’assillo del ritiro. «Fintanto che ancora acconsento al desiderio di essere conosciuto, il Signore non potrà fare niente con me», scrisse. E ancora: 

André Louf uscì da questa contraddizione – o più esattamente fu Dio a far uscire André Louf da questa contraddizione facendolo eleggere abate della Trappa di Mont-des-Cats. Abate: solitudine e governo. Dio riesce sempre a mettere il nostro destino politico sulla via che avevamo intrapreso nello scopo di evitarlo. 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio] 

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