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I 7 peccati capitali, le 7 richieste del Padre Nostro e i 7 doni dello Spirito Santo

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Aleteia - pubblicato il 25/07/22
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Una riflessione medievale profondamente ispirata ai 5 settenari del tesoro della Chiesa

Ugo di San Vittore, famoso maestro medievale, ci ha lasciato splendidi commenti e sermoni, oltre alla sua celebre opera Didascalion. Uno dei suoi opuscoli tratta dei cinque settanari presenti nel tesoro della Chiesa:

1 – Le sette richieste del Padre Nostro

2 – I sette peccati capitali

3 – I sette doni dello Spirito Santo

4 – Le sette virtù

5 – Le sette beatitudini

Poeticamente – perché questo eccellente autore medievale parla sempre con poesia –, ci spiega che i sette peccati capitali sono paragonabili ai sette fiumi di Babilonia, che effondono tutto il male, goccia dopo goccia, in tutta la terra, visto che da questi fluisce ogni peccato. Per questo, ricorda, la Scrittura dice:

“Là, presso i fiumi di Babilonia, sedevamo e piangevamo ricordandoci di Sion” (Sal 137,1).

Ugo di San Vittore pone i peccati capitali in un certo ordine logico con l'obiettivo di relazionarli alle sette richieste del Padre Nostro. Ordina così i peccati capitali: superbia, invidia, ira, accidia o tristezza, avarizia, gola e lussuria.

1 – Superbia versus «Sia santificato il tuo nome» e il dono del Timor di Dio

Il primo peccato capitale, causa principale di tutti i nostri mali spirituali, è la superbia. Per questo peccato attribuiamo a noi stessi, al nostro essere, la causa del bene esistente in noi.

Per superbia smettiamo di riconoscere Dio come Fonte di ogni bene. Facendo questo, l'uomo smette di amare il bene in sé per amare il bene solo finché esiste in se stesso, perché esiste in sé. In questo modo, l'uomo spezza la sua unione con la Fonte del bene.

Condannando la malvagità dell'orgoglio, il maestro esclama:

“Oh peste di orgoglio, cosa fai lì? Perché persuadere il ruscello a separarsi dalla sua fonte? Perché persuadere il raggio di sole a spezzare il suo legame con il Sole? Perché, se non perché il ruscello, smettendo di essere alimentato dalla fonte, si secchi e il ragggio di luce, spezzata l'unione con il Sole, si trasformi in tenebre? Perché se non affinché così entrambi, nello stesso istante in cui cessano di ricevere quello che ancora non hanno, perdano immediatamente ciò che già possiedono?”

E così l'uomo superbo, elevandosi come causa del bene che Dio gli ha donato benignamente, si attribuisce un onore che spetta solo al suo Creatore.

Il superbo ruba la gloria di Dio, e facendo questo scatena su di sé tutti i mali. La superbia, quindi, ci spoglia di Dio.

Per questo, la prima richiesta del Padre Nostro supplica che Dio ci conceda la grazia di riconoscerlo sempre come la fonte di ogni bene: “Padre Nostro, che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome”, ovvero Dio sia glorificato come causa di ogni bene esistente in noi e in tutte le sue creature.

Il ruscello dev'essere grato nei confronti della fonte che lo alimenta. Il raggio di luce deve riconoscere il Sole come causa del suo brillare. Solo così continueranno a scorrere e a illuminare.

Nella prima richiesta della preghiera che ci è stata insegnata dalla Sapienza incarnata, preghiamo che Dio ci conceda la comprensione e il riconoscimento della Sua eccellenza e trascendenza, per poter così, attraverso il dono del Timore di Dio Altissimo, essere umili e curare la malattia del nostro orgoglio.

L'orgoglio è in noi una malattia grave che suscita sempre altri mali e malattie. Ci fa amare il bene che Dio ci ha concesso come se fosse nostro, prodotto in noi da noi stessi. È l'orgoglio che fa sì che il ruscello si ritenga fonte e il raggio di sole si ritenga sole.

2 – Invidia versus «Venga il tuo Regno» e il dono della Pietà

Quando l'uomo si lascia dominare dalla superbia, inizia ad amare il bene che ha ricevuto non perché è giusto che sia così, ma solo perché è suo. E quando vede lo stesso bene esteso a un altro uomo, non lo ama come bene, ma lo odia perché è in un altro.

Vorrebbe che quel bene non esistesse nell'altro, perché ritiene che dovrebbe esistere solo in lui, falsa fonte del bene. Vedendo il bene che considerava suo in un altro uomo, l'orgoglioso diventa triste e amareggiato.

Questa tristezza amara si chiama invidia, ed è la seconda malattia che affligge l'uomo, il secondo peccato capitale.

La superbia genera sempre l'invidia del bene che Dio ha concesso a terzi. In questo modo, ci separa dai nostri fratelli, come ci separa da Dio, nostro Creatore.

E questo è giusto, perché come il superbo gioisce per il fatto di possedere il bene, si amareggia vedendo il bene nell'altro.

Più l'uomo superbo si vanta del suo bene, più si tormenta per il bene altrui. L'invidia corrode il superbo e gli amareggia la vita.

Se l'uomo superbo amasse correttamente il bene che gli è stato dato in modo limitato, amerebbe illimitatamente la Fonte di ogni bene, che lo possiede infinitamente.

Amando allora il Bene in sé, amerebbe il bene che vede in qualsiasi altro uomo e si rallegrerebbe della virtù altrui, perché amerebbe Dio nell'altro.

È stato per combattere questo secondo peccato capitale che il divin maestro ci ha insegnato a chiedere, in secondo luogo nel Padre Nostro, “Venga il tuo Regno”.

Perché il Regno di Dio è la salvezza degli uomini; perché Dio regna in un uomo quando questi Gli è unito mediante la fede e la carità, con l'obiettivo di essere nell'eternità sempre unito a Dio dalla visione beatifica.

Quando chiediamo a Dio di regnare in tutte le anime, Egli ci concede il dono della Pietà, che ci rende benigni, desiderando anche per gli altri il bene che auspichiamo per noi stessi.

L'invidia, a sua volta, genera in noi una nuova malattia. Come la superbia ci persuade del fatto che siamo la causa del bene che abbiamo e l'invidia ci provoca tristezza vedendo il bene negli altri, l'invidia ci porta a considerare che Dio è ingiusto dando il bene – che pretenderemmo fosse solo nostro – al nostro fratello.


3 – Ira o collera versus «Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra» e il dono della Scienza

Consideriamo allora che il Creatore distribuisce male i Suoi beni e che è stato ingiusto. Per questo ci arrabbiamo con Lui. L'ira è allora figlia dell'invidia. Questa ci porta a ribellarci contro Dio come giusto distributore dei beni.

La superbia allontana l'uomo di Dio. L'invidia lo separa dagli altri uomini. La collera lo allontana da se stesso, facendogli perdere il controllo e il dominio di sé.

Perché il collerico prova rabbia nei confronti di Dio, che accusa di distribuire ingiustamente i Suoi beni, e va in collera contro se stesso, perché vede che non possiede tutto il bene e si rende conto dei suoi difetti e dei suoi limiti.

La collera porta allora l'uomo a provare rabbia nei confronti di Dio, degli altri e di se stesso. Provando rabbia verso se stesso, l'uomo, malato per il peccato della collera, inizia a odiare anche il bene che ha in sé.

Per tutte queste ragioni, Nostro Signore ha posto come terza richiesta del Padre Nostro “Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra”.

È conformarsi alla volontà di Dio che ci permette di vincere il peccato della collera. Quando chiediamo sinceramente a Dio, nel Padre Nostro, di conformarci alla Sua santa volontà, Egli ci concede il dono della scienza, attraverso il quale veniamo istruiti e comprendiamo che i mali che vengono a noi sono conseguenza della giustizia e di una punizione misericordiosa dei nostri peccati.

Comprendiamo che dobbiamo accettarli con pazienza e non con ribellione, e anche che i beni altrui sono frutto della generosa misericordia e giustizia di Dio, che cerca sempre la Sua maggior gloria e anche il nostro massimo bene.

Il collerico, però, non avendo il dono della scienza non riconosce di meritare il castigo che soffre, e si ribella. Chi ha il dono della scienza sopporta tutto e viene consolato.

Cadendo in questa terza malattia, quella della collera, l'uomo non possiede più in sé alcun motivo di gioia o di consolazione.

Visto che non ha voluto rallegrarsi per il bene altrui, l'invidioso è caduto nella tristezza e nell'autosupplizio della collera, che lo flagella dopo che si è allontanato da Dio, dal prossimo e da se stesso.

4 – Tristezza o accidia versus «Dacci oggi il nostro pane quotidiano» e il dono della Fortezza

Non trovando in sé gioia o consolazione, l'uomo collerico cade nella tristezza. Era questo il nome che i medievali davano all'accidia, perché il peccato capitale dell'accidia porta ad essere tristi per il bene che si è ricevuto da Dio, visto che quei beni comportano degli obblighi.

I peccati capitali precedenti, come abbiamo visto, fanno sì che l'uomo perda tutto l'amore per il bene che Dio gli ha dato. Dominato dall'ira, allora, non ha più gioia neanche nel proprio bene, e questo gli richiede il compimento dei suoi doveri, perché a chi è stato dato molto verrà anche chiesto molto.

Sconsolato e triste, l'uomo superbo, invidioso e collerico lamenta gli obblighi che comportano i doni che Dio gli ha dato e ha poca voglia di lavorare nella vigna di Cristo. È dalla collera che nasce la pigrizia o tristezza.

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Il collerico preferirebbe che Dio non gli desse alcun bene per non avere altri obblighi. La tristezza o pigrizia lega l'uomo alla colonna dell'inerzia e lo fustiga di tristezza.

Quello che ci dà forza per lavorare con gioia e instancabilmente nella vigna del Signore è il pane quotidiano. Per questo, per combattere la mancanza di generosità nel servizio di Dio, Gesù ci fa chiedere nel Padre Nostro: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”, ovvero che Dio ci conceda la grazia e la forza necessarie per compiere i nostri doveri quotidiani. Che Dio ci dia la Sua grazia e la Sua forza per compiere i doveri che queste implicano. E questa forza di agire è quella che dà all'uomo la gioia del dovere compiuto.

Con il “pane nostro quotidiano”, quello che chiediamo è il dono della Fortezza, che ci dà forza e pazienza per affrontare le difficoltà, i compiti e le croci della nostra vita di ogni giorno.

È il dono della Fortezza che produce nella nostra anima la fame e la sete di giustizia di cui abbiamo bisogno per andare in cielo. Nella quarta richiesta, quindi, chiediamo la fame di giustizia e il pane che la sazia.

E che fiume di malvagità si genera per la pigrizia o la tristezza?


Dalla tristezza nasce la volontà di cercare consolazione nei beni esteriori, perché chi non trova bene o gioia dentro di sé cercherà la consolazione al di fuori di sé.


5 – Avarizia versus «Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori» e il dono del Consiglio

Dall'accidia deriva allora l'avarizia, l'avidità smisurata di beni materiali. Chi non ha fame e sete di giustizia avrà fame e sete di oro, e farà della fortuna la sua giustizia.

E in assenza di consolazione e gioia interiori si sommerà l'inquietudine per l'acquisizione e la conservazione di beni materiali, che portano solo mancanza di pace, inquietudine e turbamento dello spirito.

La sete di beni materiali aumenta possedendoli, e l'uomo non sarà mai sazio di ricchezza. Quest'ultima è un'acqua che fa accrescere sempre più la sete.

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Per combattere qusta miseria e questa quinta malattia – tanto bassa – dell'anima, Cristo ci ha detto di chiedere, in quinto luogo, «Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori».

Quando chiediamo a Dio il perdono per le nostre offese, come siamo disposti a perdonare chi ci ha offeso, quello che chiediamo e riceviamo è il dono del Consiglio.

Per questo dono dello Spirito Santo sappiamo e abbiamo la forza di esercitare di buon cuore la misericordia nei confronti di chi offende, nel modo più conveniente e al momento opportuno, per fare del bene al posto del male che l'altro ci ha fatto.

6 – Gola versus «Non abbandonarci alla tentazione» e il dono dell'Intelletto

Se il fiume peccaminoso dell'avarizia non viene vinto in noi dall'azione della grazia, potrebbe nascere un fiume ancor più deplorevole, quello della gola.

Ed è logico che, cercando beni inferiori, l'uomo sedotto dalle ricchezze - e non trovando in esse la vera consolazione, ma solo una maggiore inquietudine - cerchi allora in un bene inferiore, che è in lui stesso, ciò che i beni inferiori esterni non gli hanno potuto dare.

L'uomo cerca il piacere dei sensi, e in primo luogo il piacere del mangiare, visto che ogni uomo, avendo bisogno di nutrirsi, viene tentato dalla gola.

Questo peccato seduce l'uomo e lo riduce a un livello inferiore a quello degli animali. L'uomo, che ha voluto rendersi uguale a Dio ponendosi orgogliosamente come causa del proprio bene, cade ora sotto gli animali, che mangiano solo quello di cui hanno bisogno.

Per combattere questo sesto male tanto basso, Cristo ci insegna a chiedere nella preghiera domenicale: «Non abbandonarci alla tentazione».

Si noti che non si chiede di non avere la tentazione della gola. Visto che è necessario che l'uomo mangi, tutti gli uomini saranno esposti alla tentazione di mangiare in modo incontrollato.

La gola sfrutta l'appetito naturale di sussistere, portandoci all'eccesso. Col pretesto della necessità, la gola ci induce a mangiare in modo irrazionale.

Per questo, per combatterla, chiediamo a Dio, nella sesta richiesta del Padre Nostro, di concederci il dono dell'Intelletto, perché è l'appetito della parola di Dio che mantiene l'uomo nella giusta misura dell'appetito del pane materiale, visto che “non di solo pane vive l'uomo”.

Lo intende, però, solo chi ha lo spirito dell'Intelletto, che fa comprendere la superiorità dei beni spirituali su quelli materiali, facendo sì che l'uomo vinca la gola con il digiuno e l'astinenza, e l'avarizia accumulatrice con la fiducia nella Provvidenza.

È lo spirito dell'Intelletto che chiarisce la visione interiore dell'uomo mediante la conoscenza della Parola di Dio, che agisce come un collirio nell'occhio della saggezza.

7 – Lussuria versus «Liberaci dal male» e il dono della Sapienza

Sedotto dal fiume deplorevole della gola, l'uomo peccatore viene trascinato nel pantano finale, dove rimane intrappolato e sporco: la lussuria che schiavizza.

Quando l'uomo indulge nel piacere della gola, la sua anima diventa debole e non riesce più a dominare l'ardore delle passioni carnali.

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Cadendo nella lussuria, viene schiavizzato, perché nessuna passione ha più potere di dominazione sull'uomo che la mancanza di purezza.

Schiavo degli amori impuri, l'uomo giace al servizio del demonio, da cui difficilmente si libera, se non con la preghiera e la penitenza.

Questo è il settimo fiume dei peccati di Babilonia, da cui, nel Padre Nostro, si chiede giustamente la liberazione: “Liberaci dal male”.

È normale che l'uomo schiavizzato sospiri e implori la sua libertà, e la settima richiesta del Padre Nostro implora dal Dio Altissimo il dono della Sapienza, che rende l'uomo realmente libero.

La parola “sapienza” ha la stessa radice di “sapore”. Mossa dalla grazia e sentendo il sapore della sapienza, l'anima si libera dalla schiavitù dei piaceri materialai e può finalmente prendere il volo per contemplare Dio.

È quindi la dolcezza interiore e spirituale che dà all'uomo la forza di vincere la voluttà menzognera dei sensi.

Solo allora, possedendo la Sapienza e libera dai peccati, l'anima avrà la pace di Cristo, che non è la pace di questo mondo.

Adattato dalla pubblicazione del blog Modéstia Masculina

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