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Cosa dire (e cosa non dire) a un funerale

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Michael Rennier - pubblicato il 01/08/22
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Quando ci sentiamo a disagio, spesso ricorriamo a dei cliché per cercare di confortare chi è in lutto. Ecco un'altra cosa da fare

Come sacerdote, assisto a molti funerali. In queste occasioni parlo molto, e trascorro parecchio tempo tra visite e conversazioni con le famiglie in lutto nel mio ufficio.

Quando si tratta di affrontare le emozioni, mi sento estremamente in imbarazzo. Lotto per esprimere come mi sento, ma quando mi trovo nel bel mezzo di eventi che provocano emozioni forti non mi piace riconoscerne neanche l'esistenza. Mi sento a disagio quando mi trovo in un ambiente in cui le emozioni sono “allo scoperto” - probabilmente perché non capisco quello che provo e voglio solo fuggire.

Per via di questo imbarazzo, indulgevo nell'abitudine di balbettare luoghi comuni cercando di confortare le famiglie in lutto. Volevo rimediare alla loro tristezza ed ero convinto che se fossi riuscito a dire la cosa giusta, perfetta, questo avrebbe alleviato ciò che provavano. E quindi parlavo troppo e cercavo di trovare le parole magiche che avrebbero diminuito il peso che sentivano gravare su di sé.

Intendiamoci, non è che me ne uscissi con parole scherzose o evitassi completamente la realtà della presenza di una bara con un cadavere di fronte a me, ma non volevo affrontare quella dura realtà di petto, perché riconoscerla significava anche riconoscere che la morte comporta un'ampia gamma di emozioni che è impossibile risolvere in un giorno solo.

Al contempo, però, l'imbarazzo di salutare una donna che ha appena perso il marito ci spinge a parlare, a dire qualcosa – qualsiasi cosa –, il che rappresenta il motivo per cui le parole che pronunciamo ai funerali sono spesso trite. Possono anche far male in modo non intenzionale, perché quando offriamo un falso comfort chi è in lutto può avere l'impressione che dovrebbe sentirsi diversamente da come si sente, e che nella tristezza ci sia qualcosa di sbagliato o di inappropriato. È come se il modo socialmente accettabile di essere in lutto consistesse nel gestirlo in modo calmo e tranquillo prima di voltare rapidamente pagina. La vedova in lutto viene lasciata con il senso di colpa per l'incapacità di vedere l'aspetto “positivo”, o ammettere che quello che era suo marito da magari 60 anni si trovi ora in un luogo migliore, o almeno non soffra più.

Nel corso degli anni, però, ho imparato cosa non si deve dire.

Niente luoghi comuni. Niente comfort a buon mercato. Nessun tentativo di minimizzare la morte con una falsa positività. E soprattutto, non dire frasi che inizino con le parole “Almeno...”

Evitare i luoghi comuni ha un costo. Significa che non posso ignorare i sentimenti. Non posso ignorare il dolore e la realtà di quello che vuol dire amare e perdere un'altra persona, cosa significhi sentire che il proprio cuore si sia spezzato e sia stato sepolto per sempre.

Un funerale è il riconoscimento di un grande dolore, la presenza di una ferita spirituale aperta che non guarirà completamente. Dobbiamo essere coraggiosi e ammetterlo in modo onesto. Ma dobbiamo ammetterlo, perché la ferita persistente è il segno dell'amore vero, del fatto che le vite intrecciate hanno un valore insostituibile e che quando la morte provoca una separazione fisica si verifica una perdita irrevocabile. Minimizziamo questa realtà a nostro rischio e pericolo.

Col tempo, ho imparato qualcosa che posso, e forse devo, dire a un funerale.

Dico alla famiglia che mi dispiace per la sua perdita. Cerco di condividere un aneddoto su quanto ammirassi il defunto per un motivo specifico e mi riferisco a un aspetto del suo carattere che vorrei imitare. E soprattutto, faccio sapere che sono lì per pregare con i suoi cari e affidare il loro familiare a Dio, e che la morte non può fermare l'amore che le persone provano le une per le altre.

Il modo migliore per pregare è attraverso la Messa, e se ci si chiede cosa fare a livello pratico, si può far dire una Messa per il defunto e dare ai familiari in lutto un biglietto con la data in cui verrà offerta.

La gente che soffre apprezza semplicemente che voi siate lì, e allora siate pronti ad ascoltare in silenzio, senza cercare di risolvere la situazione. Non c'è modo di farlo, e allora preparatevi a continuare ad essere lì in futuro.

I luoghi comuni, dice lo scrittore Leon Bloy, sono “una sorta di vita di fuga”. Non dobbiamo fuggire. Non dobbiamo vacillare. Bisogna parlare in modo autentico, anche se è difficile pronunciare quelle parole. Ho scoperto che parlare meno è meglio, perché la realtà di quello che siamo come esseri umani e l'amore che condividiamo sono ben superiori alle poche parole che possiamo pronunciare.

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