Un anno prima della morte, esiliato in Francia dal 1955, Bao Dai pubblicò una bella opera dedicata al palazzo imperiale (Hué, la cité interdite, edizioni Mengès), dal quale per vent’anni aveva regnato. È difficile immaginarselo confinato tra le mura del suo decadente palazzo: i suoi abiti alla moda gli davano l’aria di un perfetto uomo d’affari occidentale. Il suo gusto per la caccia, per il golf e per le auto sportive sembrò averlo definitivamente allontanato dalle tradizioni e dalla religione dei suoi padri. Il destino dell’ultimo imperatore del Vietnam, però, era ancora più stupefacente, a immagine della sua personalità a tinte forti, come pure a immagine della storia della sua conversione al cattolicesimo, che si mescola alla storia coloniale francese.
Discendente della dinastia Nguyen, che al Vietnam ha dato 13 sovrani, Bao Dai è effettivamente un personaggio complesso. Come ha spiegato ad Aleteia Frédéric de Natal, redattore capo della rivista Dynastie e specialista di teste regali, «per tutta la vita Bao Dai è stato al contempo uno spirito gaudente e religioso».
Figlio dell’imperatore Khải Định, il principe Vĩnh Thụy nacque il 22 ottobre 1913 e crebbe nel palazzo imperiale di Hué. Allora l’Indocina era sotto il protettorato francese, e all’età di 12 anni il principe ascese al trono, assumendo il nome di Bao Dai (“il protettore della grandezza”). Ben presto però, il giovane adolescente (posto sotto reggente fino ai suoi 19 anni, partì per studiare a Parigi). Frequentò il Cours Hattemer, il Lycée Condorcet, il Lycée Lakanal, poi frequentò l’École libre des sciences politiques. Il giovane imperatore si adeguò presto alla vita francese: dopo essere stato scout, si diede al golf e al tennis. Adorava le auto sportive. Da vero dandy, abitava tra il proprio hotel personale, nel 16º arrondissement, e Deauville.
Bao Dai prese così tanto gusto allo stile di vita occidentale che non ebbe alcuna fretta di rientrare in Vietnam:
Colpo di fulmine a Dalat
Nel 1933, mentre era in vacanza in una rinomata località al centro del Vietnam, Bao Dai conobbe Jeanne-Marie Thérèse. I due si presero subito bene: avevano ricevuto la medesima educazione all’europea. La giovane, infatti, proveniente da una ricca famiglia di latifondisti, una delle più antiche famiglie cattoliche del Paese, aveva appena terminato i propri studi in Francia, dove era stata inviata (come Bao Dai) dall’età di 12 anni. Prima nel pensionato delle canoniche di Notre-Dame, poi al convento delle Oiseaux di Neuilly.
Sinceramente coinvolto, il giovane sovrano annunciò pochi mesi più tardi il suo fidanzamento con la vietnamita cattolica. Felicissimi, i genitori della giovane (cattolici ferventi che passavano il tempo a costruire chiese ed edifici religiosi nel Paese) videro all’orizzonte il sogno del matrimonio con l’imperatore. La notizia fece sensazione, e fu recepita assai male dalla corte imperiale: era una notizia catastrofica in un paese a maggioranza buddista, nel quale i cristiani, assai marginali, erano stati lungamente perseguitati (ancora dal nonno e dal padre di Bao Dai).
Matrimonio con una cattolica
Scoppiò uno scandalo a partire da una chiacchiera lanciata un poco prima da un giornale repubblicano, il quale affermava che l’imperatore sarebbe stato battezzato.
Cosciente del disordine pubblico provocato dal cicaleccio, il governo francese finì per prendere in mano l’affare e procedette a censurare tutti gli articoli che rilanciavano la chiacchiera sul battesimo.
Da parte della Santa Sede, Pio XI rifiutò di concedere la dispensa canonica per il matrimonio, che pure era stata richiesta dall’imperatore. Il Papa esigeva che i futuri figli fossero educati nella religione cattolica.
È in questo contesto che la cerimonia nuziale – la quale sarebbe durata quattro giorni, con alcuni rituali strettamente proibiti al pubblico – ebbe luogo nel palazzo imperiale di Hué, dal 20 al 24 marzo 1934. Dotata di una forte personalità, la giovane sposa avrebbe esatto di portare il titolo di Alezza Imperiale col titolo di “Nam Phương” (dei Cieli del Sud).
Corsi di catechismo di nascosto
L’imperatrice crebbe i figli nel cattolicesimo mentre alla corte si formavano al buddismo. Li fece battezzare di nascosto, e quando impartiva loro le lezioni di catechismo il marito non era lontano. Ascoltava anche lui.
Donna pragmatica, Nam Phương si dedicò ad erigere, insieme con le religiose della congregazione di Notre-Dame, a Dalat, un convento delle Oiseaux dove fece educare le proprie figlie. Nam Phương nutrì pure un grande progetto che volle confidare al marito: quello di fare del Vietnam il primo regno cattolico d’Asia. L’imperatore non si faceva mai vedere con le autorità cattoliche, ma in segreto leggeva la Bibbia.
L’esilio del sovrano decaduto
Nel 1945, il Giappone proclamò l’indipendenza del Vietnam sotto la guida dell’imperatore Bao Dai. Quest’ultimo abdicò però poco dopo la proclamazione della Repubblica da parte di Ho Chi Minh, e fu allora relegato al rango di “consigliere supremo”, salvo poi esiliarsi ad Hong-Kong.
Rimesso in arcione dai Francesi nel 1949, col titolo di Capo dello Stato (non più come imperatore), fu definitivamente rovesciato nell’ottobre 1955 dal Primo ministro Ngo Dinh Diem. Bao Dai, ultimo sovrano dell’ultima dinastia imperiale vietnamita, lasciò allora definitivamente la scena politica. L’ex sovrano si esiliò allora con la moglie e i cinque figli in Francia, prima a Cannes e poi a Parigi, dall’età di 42 anni, per vivervi una lunghissima e discreta pensione.
Aveva con sé un po’ di denaro e una piccola corte di esiliati. Nam Phương soffriva delle sue infedeltà, e lasciò il marito malgrado le proprie convinzioni, stabilendosi nella proprietà di Corrèze, dove si sarebbe spenta all’età di 52 anni. Quanto a Bao Dai, in Francia avrebbe ritrovato lo stile della giovinezza: avrebbe ripreso la caccia, il golf, le macchine sportive. Avrebbe anche ripreso a vedere le donne, fino a incontrare nel 1969 Monique Baudot, una Lorrena 23enne.
La principessa Monique e Saint-Louis des Invalides
Fu all’ambasciata dello Zaire che i loro sguardi si incrociarono. Monique Baudot era in servizio presso l’ambasciata. Avrebbe sposato l’ex imperatore nel 1972. Chiamata “principessa Monique”, molto credente, questa donna dalla personalità assai discreta andava regolarmente a messa a Saint-Louis des Invalides a Parigi.
Finì per convincere il marito a varcare la soglia della Chiesa ed entrarvi: nel 1988 l’ex imperatore fu battezzato col nome di Jean-Robert. La cerimonia si svolse nella più grande intimità – pochi amici vicini alla famiglia e a mons. Lustiger, che all’epoca era arcivescovo di Parigi – alla cui luce si potè apprezzare la lunga preparazione di Bao Dai al battesimo, attraverso un cammino verso la fede cristiana segnato dalle testimonianze viventi delle due mogli (prima Nam Phương, quindi la “principessa Monique”).
Col suo Battesimo – conclude lo specialista –, Bao Dai entrò a pieno titolo nella Chiesa cattolica, e divenne un cristiano devoto. Sovrano decaduto e uomo solo, si trovò la redenzione nello sguardo di Cristo. Morì così, benché fosse stato tutt’altro che un santo.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]