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Humour conciliare: aneddoti, storielle e battute dal Vaticano II

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Mirko Testa - pubblicato il 23/11/22
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Un ricordo divertente del Concilio Vaticano II attraverso un centinaio di racconti spiritosi raccolti nei corridoi vaticani, dai quali traspare il clima che si respirava tra i padri sinodali, capaci di stemperare anche le contrapposizioni più vivaci con battute non prive di qualche malizia.

Un ricordo divertente del Concilio Vaticano II attraverso un centinaio di racconti spiritosi raccolti nei corridoi vaticani, dai quali traspare il clima che si respirava tra i padri sinodali, capaci di stemperare anche le contrapposizioni più vivaci con battute non prive di qualche malizia.

Il Concilio Vaticano II fu voluto da papa Giovanni XXIII con lo scopo di «aggiornare» le verità fondamentali della nostra fede, cioè di ripensarle e presentarle nel modo più adatto alla gente dei nostri giorni.Può allora sembrare un controsenso, se non un oltraggio scherzarci sopra.

Eppure, se c’è un umorismo negativo, offensivo, che si esprime con l’ironia e il sarcasmo, ce n’è uno bonario, familiare, che coglie accostamenti insoliti, suggerisce sviluppi impensati, e in fondo richiama le radici più significative della realtà che si prende in considerazione. E le freddure o le battute venivano spontanee durante le assemblee del Concilio o negli incontri successivi ed erano sempre benevole, anche quando mettevano in evidenza posizioni o interventi discutibili. In genere l’umorismo prendeva di mira la minoranza (anche perché le battute critiche sulla minoranza erano… la maggioranza), facendone risaltare le chiusure o le incoerenze.

Ne è testimone un libretto umoristico francese apparso nel 1966 e ripubblicato dall’editrice Áncora con il titolo «Le bolle del Concilio». Il volume è frutto dell’opera collettiva di giornalisti, esperti (noti come periti) e Padri conciliari (c’è persino un cardinale). Alcune sono autentiche, altre sono state raccontate nell’aula conciliare o nei dintorni e poi raccolte fedelmente nei corridoi del Vaticano II.

Al Concilio le opposizioni spesso molto vivaci non hanno dato luogo che a qualche battuta maliziosa, ma senza cattiveria. Sono le tracce di questa malizia che si troverà in alcune di queste storielle, e niente di più.

DELICATEZZA
Giovanni XXIII volle che i Padri conciliari avessero a loro disposizione, all’interno di San Pietro, due bar, che rimanevano aperti durante le Congregazioni generali. Uno fu soprannominato dai Padri BAR ABBAS. L’altro BAR JONAS ‒ appellativo dato a Pietro nel Vangelo: «figlio di Giona» (Mt 16,17). Il papa spiegò così la sua decisione: «Poveretti, devono avere modo di rilassarsi. Se non gli avessi concesso un bar, avrebbero fumato dentro le loro mitre!».

LESA MAESTÀ
Le toilettes del Concilio avevano due indicazioni in italiano: «libero» e «occupato». Un vescovo propose che fossero tradotte in latino, con queste diciture: sede vacante e feliciter regnante (nella terminologia ufficiale vaticana la prima espressione latina indica il periodo intercorrente fra la morte di un papa e l’elezione del successore, la seconda il papa in carica).

SUENENS… SE AVESSE AVUTO UNA FIAT?

Molti aneddoti hanno come bersaglio il cardinale belga Léon-Joseph Suenens, voce di punta della frangia progressista al Vaticano II e – secondo alcuni – uno dei motori “occulti” insieme a mons. Hélder Câmara dell’assemblea conciliare. Il cardinale Suenens aveva una magnifica Mercedes. Un giorno gli studenti del seminario belga scrivono con un gessetto, sul tettuccio dell’auto, questa frase del Vangelo: accipit mercedem suam. Ovvero: ha ricevuto la sua ricompensa (cf Mt 6,5).

Il porporato parlava molto di dialogo al Concilio, ma – a quanto pare – lo praticava poco nella sua diocesi. «È uno specialista del monologo sul dialogo» dicevano alcuni suoi preti della diocesi di Malines Bruxelles.

Durante un’udienza concessagli da Giovanni XXIII, si racconta poi, si inginocchiò davanti a lui, dimenticando che un cardinale non si deve inginocchiare davanti al Papa. Poco tempo dopo, all’inizio di una nuova udienza, il Papa gli diede una foto: raffigurava il loro precedente incontro.

Il cardinale si chiedeva quale fosse il significato della cosa, ma non capiva. Giovanni XXIII gli disse allora: «Guardate sul retro». Suenens girò la foto e vide che il Papa avevo scritto di suo pugno: «Mihi non placet!». Letteralmente: «Non mi piace». Era la formula con cui i Padri conciliari votavano contro un testo o una proposta.

Infine, si racconta, che il cardinale Suenens un giorno lanciò un giorno al Concilio l’idea di un rinnovo annuale delle promesse matrimoniali. Il giorno dopo un giornalista italiano si sentì autorizzato a scrivere che il prelato aveva raccomandato «il matrimonio di prova»! Malizia o ingenuità?

LARGO AI GIOVANI
Durante le animate discussioni sull’opportunità di utilizzare per la liturgia le lingue moderne al posto del latino, alcuni Padri ostili a qualsiasi cambiamento amavano citare un documento di Giovanni XXIII, in cui si raccomandava lo studio del latino. Il titolo di questo documento era Veterum sapientia, tradotto dai sostenitori delle lingue moderne con “La saggezza dei matusa”.

SCHEMA XIII…AL FUOCO ETERNO!

Giovanni XXIII, prima ancora dell’apertura del Concilio, aveva desiderato che esso si occupasse dei rapporti tra la Chiesa e il mondo moderno. Lo Schema XIII, la cui elaborazione inizialmente era stata affidata al cardinale Suenens e che alla fine sarebbe divenuto la “Gaudium et spes”, si era caricato di molte attese tanto che padre Yves Congar lo aveva definito “la terra promessa del Concilio”. Una volta giunto in aula, non mancarono le schermaglie. I Padri conciliari avevano diritto – come accade nei parlamenti – di presentare i loro emendamenti (in latino, modi) ai testi degli schemi elaborati e presentati dalle Commissioni competenti. Solo per lo Schema XIII ci furono 10.000 emendamenti, pari a 13 chili di carta. Bisognava però che il Vaticano II si chiudesse nei tempi stabiliti e da qui nacque il successo di un gioco di parole: «Ite, modi, in ignem aeternum!» («Andate, emendamenti, nel fuoco eterno», con riferimento al testo di Mt 25,41, dove al posto dei modi ci sono i maledicti).

Diversi laici parteciparono all’elaborazione del famoso Schema XIII, in particolare sul capitolo riguardante il matrimonio. Tra di loro vi era una donna sposata originaria del Messico (e anche suo marito). Un giorno, il cardinale irlandese Michael Browne intervenne in Commissione sul tema dell’«amore di concupiscenza», affermando che lo schema doveva ricordare questo aspetto deplorabile dell’amore umano, anche nell’ambito del matrimonio. A un certo punto la donna lo interruppe dicendo: «Tutti i vescovi qui presenti, lo spero, venerano la propria madre e non si considerano il frutto della sua concupiscenza». Il cardinale abbozzò, cambiò argomento e nessuno tornò mai più sulla questione.

L’obbligo di terminare il Concilio entro i tempi prefissati fu causa di parecchi problemi. E i redattori dello Schema XIII furono proprio quelli messi più alla frusta e costretti a lavorare giorno e notte. Con esiti prevedibili: uno dei documenti inviati ai Padri portava nel titolo un bel Christus incornatus (anziché: incoronatus). In realtà questo refuso porta con sé una goccia di verità. La leggenda narra che proprio un crocifisso sia apparso a sant’Uberto tra le corna di un cervo, che quel cacciatore accanito e crudele, poi pentito, stava inseguendo da tempo.

Monsignor Achille Glorieux, segretario della Commissione conciliare mista incaricata di elaborare lo Schema XIII e considerato un abile navigatore delle «acque vaticane», sarebbe – a quel che si dice – parzialmente responsabile della mancata trasmissione in tempo utile al segretariato del Concilio di un emendamento firmato da 450 Padri. Si trattava di una richiesta di condanna esplicita del comunismo, suggestione cui – com’è noto – il Vaticano II non ha voluto dare ascolto. Che ci fosse stata davvero negligenza o meno, gli uni la rinfacciavano con durezza a monsignor Glorieux, gli altri si divertivano parlando di un provvidenziale «tallone d’Achille».

UN INNO DI PROTESTA
Durante la seconda sessione si temeva che il Vaticano II, alle prese con la questione della collegialità episcopale, non accordasse sufficiente attenzione al ruolo dei preti. Inoltre alcuni trovavano preoccupante la larga maggioranza che si era espressa a favore dei diaconi sposati. Ecco dunque che cominciò a circolare questa quartina: «Ai vescovi tutto il potere, ai diaconi tutto il piacere, ai laici tutta la libertà, ai preti tutto il lavoro!».

FUORI TEMPO
Due periti olandesi discutevano della mentalità retrograda di alcuni Paesi cristiani. Il primo: «In America Latina alcuni vescovi sembrano venire direttamente dal Medioevo». E il secondo: «Che vuoi farci? Sono vocazioni tardive!».

PAOLO VI E LE INDULGENZE
Verso la fine della quarta sessione, parecchi Padri avevano criticato con forza la pratica delle indulgenze, spingendosi a chiederne la soppressione. Che ne pensava il Papa? Si può solo prendere nota che, ricevendo poco prima della fine del Vaticano II i vescovi latinoamericani, Paolo VI disse loro, al momento del saluto: «Vi dono la mia benedizione e le indulgenze connesse… per quanto mi è ancora concesso donarle».

OTTAVIANI…LA PORPORA AL BACIO E L’ORTODOSSIA

Sul lato opposto del cardinale Suenens, si collocava sicuramente il cardinale Alfredo Ottaviani, prefetto del Sant’Uffizio, rigoroso difensore della Tradizione, soprannominato per questo il carabiniere della fede, che tra l’altro fu uno dei primi a suggerire a Giovanni XXIII già durante un incontro nel “cella” del Conclave di indire un nuovo Concilio universale della Chiesa. Un giorno riceve da monsignor Pericle Felici, segretario generale del Concilio, una lettera in cui lo prega di fargli avere un certo documento. La domanda termina con la formula protocollare: «Bacio la sacra porpora». Il cardinale legge la lettera alla Commissione conciliare di cui è presidente. L’ultima frase suscita degli oh! oh! ironici. Il cardinale conclude: «Faremo in modo di rispondere senza indugio a questa richiesta, così monsignor Felici non sarà obbligato a inchinarsi di nuovo per baciare la nostra porpora!».

Un aneddoto riporta che si vide una volta Ottaviani pregare prima del Concilio con fervore rinnovato. In particolare, lo si vide sostare a lungo in ginocchio davanti al Santissimo Sacramento durante le Congregazioni generali. I suoi assistenti, allora, si preoccuparono e gli chiesero se andasse tutto bene. «Ah!» rispose. «Non parlatemene. Io prego Dio di chiamarmi a lui e, soprattutto, di non attendere la fine del Concilio». «E perché tutta questa fretta?». «Perché voglio morire cattolico!».

Le idee del cardinale Agostino Bea – primo presidente del Segretariato per l’Unità dei Cristiani – e del patriarca Maximos IV Saigh – agguerrito promotore del movimento ecumenico nella Chiesa – erano poco gradite al cardinale Ottaviani. Ma erano anche quelle della maggioranza dei Padri sinodali. Per questo, quando il segretario del Sant’Uffizio recitava il Confiteor diceva sempre: «Bea culpa, Bea culpa, Bea Maximos culpa!».

 

I PRIMI EFFETTI DELLA PILLOLA
La “pillola Pincus”, che intorno alla fine degli anni Cinquanta aveva suscitato accessi dibattiti tra medici e moralisti, non entrò nel dibatto conciliare perché nel giugno 1964 Paolo VI avocò a sé il tema della contraccezione creando una Commissione pontificia di esperti. Tuttavia, dominava le riflessioni e preoccupazioni dell’epoca. Tanto che quando a più riprese alcuni giornali annunciarono nuove nomine cardinalizie da parte di Paolo VI e tutte le volte le notizie si rivelarono infondate, un giorno un vescovo chiese: «Perché il papa non ne crea più?». Al che un perito prontamente rispose: «Deve aver provato la pillola… e ha funzionato!».

UN CATTOLICO “PROTESTANTE”?

Hans Küng, prete teologo, professore dell’università di Tubinga, tenne a Roma, durante la terza sessione, un’efficace conferenza sulla «sincerità nella Chiesa». E inevitabilmente alcuni giornali italiani credettero che si trattasse non di un cattolico ma di un protestante, titolando di conseguenza gli articoli sulla conferenza.

TROPPO O TROPPO POCO

Durante una conferenza tenuta a Roma durante la quarta sessione, monsignor Alfred Ancel, vescovo ausiliare di Lione e noto per essere stato il primo vescovo-operaio, parlò degli inconvenienti di un clero sposato, soffermandosi in particolare su un aspetto: «Se il prete sposato ha solo un figlio, si insinuerà che non ha rispetto per la morale coniugale. Se ne ha dodici, si dirà che non ha più tempo per dedicarsi ai propri parrocchiani».

SOLO CONTRO TRE
Alla fine del Concilio, Paolo VI, congedandosi dagli osservatori non cattolici, offrì a ciascuno di loro come ricordo una campana di bronzo su cui erano incisi i simboli dei quattro evangelisti. I Padri li associarono ai quattro moderatori: il giovane uomo di san Matteo al cardinale Döpfner; il leone di san Marco al cardinale Suenens; il toro di san Luca al cardinale Lercaro e l’aquila di san Giovanni al cardinale Agagianian. «Perché l’aquila di san Giovanni al cardinale Agagianian?». «Perché non va mai d’accordo con i tre sinottici». I primi tre cardinali, infatti, erano ritenuti appartenenti alla maggioranza conciliare, mentre Agagianian era esponente della minoranza.

HAPPY END
Il Vaticano II finì con questa triplice esclamazione ripresa in coro da tutti i Padri: «Feliciter! Feliciter! Feliciter!». «È stato l’unico modo» – commentò scherzosamente un vescovo – «di mettere a tacere monsignor Felici», che da segretario generale del Concilio, nei quattro anni trascorsi, aveva dato prova di grande facondia.

 

COPERTINA VOLUME BOLLE DEL CONCILIO ANCORA EDITRICE
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