È un effetto sempre più visibile della scristianizzazione, soprattutto in certi paesi occidentali: alcuni si avvicinano alla Chiesa per chiedere dei sacramenti, senza però sapere a che cosa corrispondono e senza consapevolezza della conversione che essi suppongono, significano e procurano. Così facendo, essi mettono allora in una situazione delicata i cristiani o i preti che li incontrano, combattuti tra il desiderio di condividere tra il maggior numero possibile di persone la Grazia divina e l’obbligo di non dissiparla.
Il dilemma è tale che mons. Daucourt, vescovo emerito di Nanterre, in Francia, lo ha detto parte del “peso quotidiano” dei preti. Nel suo ultimo libro, Preti a pezzi [Prêtres en morceaux], spiega: «Davanti alla constatazione di quante siano poche le persone in relazione con Cristo», alcuni preti si scoraggiano e «si domandano a che cosa serva andare avanti, e così facendo giungono a non credere più nel loro ministero». Al contrario, aggiunge il prelato,
altri hanno la tentazione di prendere misure severe per l’accesso ai sacramenti, col rischio di recidere il legame tra i “battezzati non cristiani credenti” con Cristo e con la Chiesa… e l’illusione di volere una Chiesa “di veri cristiani”.
Il battesimo non può essere rifiutato ad alcuno
È difficile fare una stima dei sacramenti rifiutati, ma è sicuro che il fenomeno non sia molto comune. Quando se ne presenta il caso, però, lo strepito mediatico è assicurato: nel 2009, diversi media nazionali si erano fatti eco, in Francia, di un battesimo “rifiutato” a Nantes. All’epoca mons. Soubrier, vescovo diocesano, spiegò:
Siamo di fronte a un malinteso sul senso del battesimo. Non si può dire “Intanto accogliamo, e dopo si vedrà”. Ci vuole una speranza fondata circa la scoperta della fede.
Nel caso del battesimo, effettivamente, il diritto canonico illustra che non lo si può rifiutare ad alcuno (can. 843). Gli articoli seguenti, però, aggiungono che questo suppone la volontà di educare cristianamente il bambino (nel caso dei piccolissimi). Se dei genitori non intendono educare il figlio nella fede, diventa legittimo domandarsi se hanno davvero il desiderio del sacramento, perché la grazia ricevuta deve potersi sviluppare al di là dell’evento stesso. E questo sarebbe contraddittorio: come si potrebbe volere che il proprio figlio sia cristiano senza intendere fargli scoprire, anzitutto tramite l’esempio, quel che la fede è?
In teoria, il prete può dunque “rifiutare” il battesimo per questa ragione, ma tale decisione risulta difficilmente comprensibile per l’entourage del bimbo. Alla fine, di solito, o il ministro battezza quale che sia la situazione, dicendo che così «lascia agire la Grazia e non ne priva il bambino», oppure cerca di trovare una soluzione che non butti via il sacramento ma che non spaventi i genitori: chiedere loro di impegnarsi di più nella preparazione, assicurasi che i fratelli maggiori del bambino frequentino le catechesi… oppure rimandare il rito.
Un reale desiderio di ricevere il sacramento del matrimonio
Per quanto riguarda il matrimonio, i rifiuti sono fondamentalmente connessi ai medesimi problemi di comprensione e di libertà, e sono ugualmente molto rari, specialmente perché il numero dei nubendi cala ogni anno. Anche qui, il prete che riceve dei fidanzati deve assicurarsi non della loro perfezione – qualsivoglia giudizio sarebbe fallace – ma del loro reale desiderio di ricevere, attraverso il sacramento, la grazia del Signore per vivere da sposi cristiani, uniti indissolubilmente e liberamente, aperti alla vita e desiderosi di trasmettere la fede ai figli che dovessero venire.
Ci sono degli impedimenti materiali (la Confermazione ancora da ricevere, la consanguineità, l’impotenza, la disparità di culto…), ma resta principale la possibilità che la grazia venga a intervenire in cuori disposti. Ancora una volta, spetta al ministro del sacramento discernere la fondatezza della richiesta e proporre gli aggiustamenti di rotta del caso… oppure opporre un (necessariamente provvisorio) diniego.
In fondo, la questione è quella che ha agitato la Chiesa riguardo ai divorziati-risposati durante il Sinodo sulla famiglia. Papa Francesco ha voluto offrire una specie di risposta nel capitolo VIII di Amoris Lætitia, invitando tutti a un discernimento pastorale che si adatti a tutte le situazioni che si presentano. Cosa a cui invitava già fin dall’inizio del suo pontificato:
Tutti possono partecipare in qualche modo alla vita ecclesiale, tutti possono far parte della comunità, e nemmeno le porte dei Sacramenti si dovrebbero chiudere per una ragione qualsiasi. Questo vale soprattutto quando si tratta di quel sacramento che è “la porta”, il Battesimo. L’Eucaristia, sebbene costituisca la pienezza della vita sacramentale, non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli.[51] Queste convinzioni hanno anche conseguenze pastorali che siamo chiamati a considerare con prudenza e audacia. Di frequente ci comportiamo come controllori della grazia e non come facilitatori. Ma la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa.
Non esistono, dunque, in senso proprio e stretto, delle regole circa il rifiuto dei sacramenti. Tanto meno in quanto la via evocata dal Santo Padre rimanda talvolta a una disparità di pratiche tra le differenti diocesi, parrocchie… o anche preti, e non incoraggia i vescovi a prendere decisioni chiare in questo àmbito. La Chiesa – a differenza di come è stato in altre epoche – è dunque attualmente piuttosto liberale. A rischio di non incoraggiare i fedeli e “i lontani” a convertirsi più radicalmente. A rischio di un certo soggettivismo. A rischio infine di far dimenticare che l’amore di Dio esige una risposta chiara da parte nostra, manifestata dalla conversione (sicuramente incompiuta) delle nostre esistenze. Ma non vogliamo poter offrire a più persone possibile la grazia di Dio?
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]