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Sant’Agnese, l’agnello e il pallio papale: una tradizione da scoprire

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Lucia Graziano - pubblicato il 20/01/23
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Fin dal V secolo, la martire romana fu rappresentata in compagnia di un agnello. E da questa consuetudine nacque un’usanza piena di significato: quella di confezionare il pallio del papa con la lana degli agnellini che (ancor oggi, ogni 21 gennaio) vengono benedetti presso la basilica romana di Sant’Agnese.

Impossibile confonderla: nei quadri a tema sacro e nelle immaginette devozionali, sant’Agnese si distingue a colpo sicuro, resa immediatamente riconoscibile dal suo fedele amico a quattro zampe. Parliamo, naturalmente, del candido agnellino che è l’immancabile attributo iconografico della santa: ma, esattamente, da dove nasce questa amicizia? 

Qual è il legame tra l’agnello e santa Agnese?

In vita, santa Agnese non ebbe mai a che vedere con gli agnellini. I più antichi agiografi di sant’Agnese (tra cui papa Damaso e Ambrogio di Milano, morti sul finire del IV secolo) forniscono scarne notizie biografiche sulla giovane, dipingendola come una ragazza dalla vita piuttosto ordinaria, nella sua santa eroicità. Agnese era una fanciulla di circa tredici anni, così giovane da non essere ancora tenuta per legge a presentarsi al cospetto dei funzionari imperiali per sacrificare agli dèi pagani. Ma la giovanissima e coraggiosa Agnese, che pure avrebbe potuto evitare la persecuzione, volle presentarsi al cospetto dei soldati imperiali per esprimere pubblicamente il suo rifiuto a immolare sacrifici agli idoli: «erano tutti stupefatti che si presentasse a rendere testimonianza di Dio proprio lei, che non aveva neppure raggiunto la maggiore età», osserva sant’Ambrogio. Inevitabilmente, il suo atto di fede le valse la morte e la palma del martirio: era il 21 gennaio 304, e la giovane esalava l’ultimo respiro sotto la lama del suo boia.

Ma allora, se non ci sono agnelli in questa storia, come nasce l’associazione tra sant’Agnese e l’animaletto che, da tradizione, l’accompagna?

A motivarla, è un episodio che ci viene presentato da una Passio latina del V secolo, descrivendo il prodigio che si compì nell’ottavo giorno dopo la morte di santa Agnese. Mentre i suoi parenti erano chiusi in un lutto disperato e strettissimo, non riuscendo a capacitarsi della morte di una ragazza così giovane, sant’Agnese apparve loro in sogno confortandoli con infinita dolcezza: «smettete di piangermi come morta, anzi rallegratevi con me, perché sono entrata a far parte della schiera luminosa dei santi». Accanto a lei, se ne stava un piccolo agnello: un animale che, per ovvie ragioni, richiamava alla mente dei cristiani l’Agnus Dei e quindi simboleggiava, in senso allargato, la santità di una morte non inutile e la promessa di una resurrezione alla fine dei tempi.

Il fatto che sant’Agnese si chiamasse (beh) Agnese fu poi una felice coincidenza, che contribuì a cementare nell’immaginario collettivo l’associazione tra la martire e l’agnellino. Da un punto di vista filologicamente corretto, il nome “Agnese” è la latinizzazione del greco Ἁγνὴ, con significato di “puro, casto”; ma, nel Medioevo, a molti piacque la somiglianza tra Agnes, nome proprio persona, agnus, il termine latino per indicare appunto l’agnello. Nomen omen, verrebbe da dire: e anche questa coincidenza contribuì a far crescere, e poi a rendere indissolubile, il legame tra la santa romana e il candido animaletto che le si accompagna.

Dagli agnelli di sant’Agnese, la lana per confezionare il pallio pontificio

E forse non tutti sanno che, in omaggio a questo legame, ancor oggi ha luogo a Roma una dolcissima tradizione che si ripete ogni anno il 21 gennaio, in occasione della festa di sant’Agnese: al termine di una Messa solenne celebrata nella basilica di Sant’Agnese fuori le mura, due piccoli agnellini vengono condotti all’altare e benedetti. È una tradizione antichissima, che si sviluppò col passar del tempo ma che già nel VI secolo è attestata in forma, per così dire, embrionale.

Fino a pochi decenni fa, ad allevare gli animali che sarebbero stati condotti sulla tomba della santa erano i monaci trappisti dell’abbazia delle Tre Fontane; oggigiorno, i religiosi preferiscono acquistare gli agnellini direttamente da pastori di fiducia, certamente meglio attrezzati per offrire le dovute cure veterinarie alle pecore in gravidanza. Quando gli agnellini raggiungono l’età giusta per potersi separare dalla madre, i monaci trappisti li consegnano alle suore francescane della Sacra Famiglia di Nazareth, che li accudiscono amorevolmente fino al 21 gennaio, data in cui appunto vengono condotti nella basilica di Sant’Agnese per la tradizionale benedizione. A quel punto, gli agnellini vengono donati al pontefice che, come da usanza secolare, provvede ad affidarli alle monache benedettine del convento di Santa Cecilia: saranno loro a occuparsi affettuosamente degli animaletti fino al momento della loro tosatura, a primavera. 

E da quella candida lana verranno ricavati i palli: quelle sottili strisce di stoffa bianca che il papa e gli arcivescovi metropoliti indossano al di sopra della casula o della pianeta nel corso delle cerimonie liturgiche. Simbolicamente, il pallio rappresenta la pecora che il buon pastore porta sulle spalle, ed è pertanto simbolo del ruolo pastorale che viene conferito a chi lo indossa: ed è proprio con la lana degli agnellini “di sant’Agnese” che essi vengono, ancor oggi, confezionati. 

Il papa li benedirà il 29 giugno, nella solennità dei santi Pietro e Paolo, provvedendo poi a fargli giungere ai vari arcivescovi metropoliti per mano di un nunzio apostolico. E nell’epoca della fast fashion, quando i vestiti si comprano con un click, quanto è significativo fermarsi a riflettere sul valore profondissimo di questo lavoro paziente e pieno di cura, portato avanti con devozione. Verrebbe quasi da definirlo una preghiera operosa che, nel silenzio, viene innalzata ogni anno a sant’Agnese. 

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