Interessante lettura, quella che si ricava scorrendo le pagine di Gente di poca fede, uno studio che il sociologo Franco Garelli ha dedicato all’analisi de Il sentimento religioso nell’Italia incerta di Dio (Edizioni Il Mulino, 2020).
Già ordinario della cattedra di Sociologia delle Religioni all’Università di Torino, Garelli ha imbracciato la penna per inquadrare le forme e i modi in cui si esprime (o non si esprime affatto) il senso religioso nella nostra nazione sempre più secolarizzata. In Italia – si legge nella quarta di copertina – «il legame cattolico si fa sempre più esile, il Dio cristiano sembra più sperato che creduto, la pratica religiosa manifesta tutta la sua stanchezza»: ma è proprio così? Davvero la popolazione italiana sta diventando sorda e indifferente a tutto ciò che è Altro?
I cattolici convinti e attivi? Un quinto della popolazione. Ma il 40% degli Italiani crede in Dio
Non v’è dubbio che la pratica religiosa nell’Italia contemporanea mostri evidenti segnali di stanchezza (se non proprio di “aperto declino”). Il calo più marcato è quello che riguarda la frequenza alle celebrazioni liturgiche (oggigiorno, solamente il 22% della popolazione si reca in chiesa con frequenza settimanale; un netto calo rispetto a quanto si verificava venticinque anni fa, quando la percentuale dei praticanti si attestava attorno al 30%).
Negli ultimi venticinque anni, i cittadini italiani che si professano non credenti sono aumentati del 30% e rappresentano oggi un quarto della popolazione (una percentuale comunque molto più bassa a quella che si registra in alcune nazioni del Nord Europa); contemporaneamente, è cresciuto in maniera percettibile il numero degli Italiani che professa una fede diversa da quella cattolica: a oggi, l’8% dei nostri connazionali.
Lo zoccolo duro dei cattolici «convinti e attivi», per citare la definizione che ne dà Garelli (e cioè, di quei cattolici che frequentano con regolarità la liturgia domenicale e, almeno a grandi linee, condividono una visione comune su temi di morale, bioetica ed educazione) compone poco più di un quinto della popolazione italiana. Ma il ricambio generazionale potrebbe avere un forte impatto su questa percentuale, tenuto conto dell’età media molto avanzata in questo gruppo di fedeli.
Eppure, sorprendentemente, il crescente disamore nei confronti della religione istituzionalizzata non va di pari passo con uno spegnersi di un sentimento religioso inteso nel senso più ampio del termine. Per dirla con le parole di Garelli, «più di quanto si pensi, persiste nel paese una tonalità religiosa che nasce da un rapporto diretto e personale con il sacro, perlopiù non mediato dalle chiese e dalle istituzioni religiose, né necessariamente connesso a una pratica religiosa attiva».
Tenendo conto del dato per cui, come appunto si diceva, solo il 20% dei cittadini italiani vive la propria vita di fede in maniera «convinta e attiva», la larga maggioranza della popolazione dichiara di avvertire nella propria vita la presenza di Dio (o comunque di una benevola entità superiore); circa la metà è convinta che certe cose “non succedano per caso” e quasi il 30% ritiene, in vario modo, di aver ricevuto una grazia celeste almeno una volta nella vita. Ma non sono: mentre declina vistosamente la partecipazione alla liturgia domenicale, vi sono delle forme di devozione che, curiosamente, registrano una netta crescita di popolarità.
I pellegrinaggi devozionali? Sono in crescita
Per esempio, non è stato eroso l’affetto che la popolazione italiana prova nei confronti dei santi, misurabile (fra le altre cose) dal flusso continuo di pellegrini che ogni anno si recano appositamente nei luoghi di culto legati ai testimoni della fede. Anzi, questi viaggi devozionali guadagnano popolarità invece di declinare: se, nelle rilevazioni compiute a metà anni Novanta, solo il 15% della popolazione dichiarava di compiere con regolarità (almeno una volta anno) uno spostamento principalmente finalizzato a raggiungere un santuario o altro luogo di culto, oggigiorno questa percentuale è cresciuta fino a superare il 20%. Si stima che, ogni anno, dai 5 ai 6 milioni di pellegrini si mettano in viaggio per raggiungere San Giovanni Rotondo, Assisi, Padova e Loreto, per citare le quattro mete più popolari; e i rettori dei santuari dichiarano la loro percezione di avere a che fare con un flusso di visitatori mediatamente più serio e motivato rispetto a quanto accadesse qualche decennio fa.
Verso i santi, un amore che muta ma non muore
Tuttavia, la venerazione per i santi sta gradualmente mutando forma per aggiornarsi ai bisogni di un mondo che cambia. Se, in passato, la devozione era particolarmente legata ai mestieri (vale a dire: i fedeli tendevano ad affidarsi a quei santi che percepivano particolarmente vicini perché patroni della loro professione), oggigiorno questo elemento sembra aver perso rilevanza. I fedeli scelgono di indirizzare le loro preghiere a un certo santo per ragioni principalmente “affettive” (amatissimi sono oggi padre Pio, Rita da Cascia e Antonio da Padova), oppure perché il culto è particolarmente radicato nel territorio in cui risiedono (come nel caso di san Gennaro e di sant’Agata).
Sono cambiate anche le motivazioni per cui i santi vengono invocati: se, venticinque anni, si li si pregava innanzi tutto nella speranza di ottenere una guarigione miracolosa, oggigiorno i fedeli si accostano ai santi principalmente per chiedere loro la grazia di avere un figlio o di trovare lavoro.
Il diavolo esiste davvero, secondo il 40% degli Italiani
Charles Baudelaire scrisse iconicamente che la più grande astuzia del diavolo è stata quella di convincerci del fatto che non esiste. Verrebbe da dire, col sorriso sulle labbra, che qualcosa non sta funzionando bene in questo progetto: oggigiorno, il 40% degli Italiani si dice convinto dell’esistenza di una potenza maligna di natura soprannaturale, che agisce nel mondo dando via a una eterna lotta tra il bene e il male. Si tratta di una percentuale notevole, tenuto conto del fatto che è più che raddoppiata rispetto a quella di chi, venticinque anni fa, denunciava lo stesso sentire: «un dato rilevante, forse indizio del clima oscuro che condiziona l’epoca contemporanea», fa notare Garelli.
La morte non è la fine di tutto – e il 40% degli Italiani richiede Messe per i defunti
Se è in netto aumento la percentuale di Italiani che crede all’esistenza del diavolo, lo stesso si può dire riguardo quella fetta di popolazione che si dichiara convinta del fatto che esista una vita dopo la morte e che ritiene di aver sperimentato in vario modo la sua vicinanza con i defunti che più gli erano stati cari. Venticinque anni fa, solo il 20% degli Italiani dichiarava questa convinzione; oggigiorno, la percentuale è salita a superare il 40%, con un trend che – a quanto spiega Garelli – si sta diffondendo in varie nazioni occidentali e che «alcuni studiosi mettono in relazione con quella precarietà del vivere che – pur con intensità e forme molto diverse – sembra manifestarsi in ogni dove».
E dunque non sarà un caso che si registri una leggera crescita anche nella percentuale di individui che provvedono con una certa regolarità a far celebrare Messe in suffragio dei propri defunti: anche in questo caso, si parla di circa il 40% della popolazione (e non farà male sottolineare per la terza volta che solo il 20% dei cittadini frequenta con regolarità la liturgia domenicale. In una prospettiva confessionale, verrebbe da dire che alcuni Italiani si preoccupano dell’anima dei morti più di quanto si preoccupino della propria!).
Dati sorprendenti, ma forse non incomprensibili
«La persistenza di questi atti di devozione appare per vari aspetti sorprendente», osserva Franco Garelli – e senza dubbio a buon diritto. Per esempio, oggigiorno è ben difficile immaginare che una famiglia italiana decida di andare a visitare un santuario senza esser mossa da un reale sentimento religioso, solo perché Google non riesce a suggerirle altri modi creativi di occupare il weekend; eppure, i numeri non lasciano spazio a dubbi: il desiderio di visitare certi luoghi di culto è ancor oggi molto radicato.
Ma ancor più sorprendente è registrare che «alcuni di questi gesti tornano in auge dopo un periodo di appannamento». Garelli avanza anche una possibile spiegazione: «forse per il riproporsi oggi di condizioni ambientali (ed ecclesiali) che alimentano una maggior domanda di sacro».