È di ampiezza inaudita il sisma in Turchia e Siria, il cui terribile bilancio non cessa di salire. Ma c’è stato lo tsunami in Asia nel 2004, l’uragano Katrina negli Stati Uniti nel 2005, o ancora il ciclone in Birmania nel 2008… Ogni cataclisma apporta il proprio carico di domande sulla bontà di Dio. Se Dio esiste veramente, perché permette simili ingiustizie? Dio è indifferente alla sofferenza umana? I terremoti, gli uragani, le inondazioni e altre catastrofi naturali sono una punizione divina?
Anche se può essere umanamente difficile da comprendere, la risposta si trova al cuore della Bibbia. E in particolare nel libro di Giobbe, il cui protagonista – pur essendo un uomo giusto – conosce una sofferenza immeritata: senza alcuna colpa da parte sua perde i beni, i figli e le figlie, e alla fine anche lui è colpito da una grave malattia. Nella sua lettera apostolica Salvifici doloris, Giovanni Paolo II spiegava che la sofferenza non è sempre una punizione. Egli descrive Giobbe afflitto da «innumerevoli sofferenze» e che vedeva i suoi amici dire che doveva aver fatto qualcosa di male. La sofferenza, dicevano, è sempre una punizione per un delitto commesso. Essa sarebbe mandata da un Dio giusto in nome della giustizia.
Questa, ai loro occhi, può avere esclusivamente un senso come pena per il peccato, esclusivamente dunque sul terreno della giustizia di Dio, che ripaga col bene il bene e col male il male.
Il punto di riferimento è in questo caso la dottrina espressa in altri scritti dell'Antico Testamento, che ci mostrano la sofferenza come pena inflitta da Dio per i peccati degli uomini. Il Dio della Rivelazione è Legislatore e Giudice in una tale misura, quale nessuna autorità temporale può avere. Il Dio della Rivelazione, infatti, è prima di tutto il Creatore, dal quale, insieme con l'esistenza, proviene il bene essenziale della creazione. Pertanto, anche la consapevole e libera violazione di questo bene da parte dell'uomo è non solo una trasgressione della legge, ma al tempo stesso un'offesa al Creatore, che è il primo Legislatore. Tale trasgressione ha carattere di peccato, secondo il significato esatto, cioè biblico e teologico, di questa parola. Al male morale del peccato corrisponde la punizione, che garantisce l'ordine morale nello stesso senso trascendente, nel quale quest'ordine è stabilito dalla volontà del Creatore e supremo Legislatore. Di qui deriva anche una delle fondamentali verità della fede religiosa, basata del pari sulla Rivelazione: che cioè Dio è giudice giusto, il quale premia il bene e punisce il male: « Tu, Signore, sei giusto in tutto ciò che hai fatto; tutte le tue opere sono vere, rette le tue vie e giusti tutti i tuoi giudizi. Giusto è stato il tuo giudizio per quanto hai fatto ricadere su di noi ... Con verità e giustizia tu ci hai inflitto tutto questo a causa dei nostri peccati »(23).
La stessa cosa si produce quando la gente dice che le catastrofi naturali sono «opera di Dio», scrisse il papa polacco. Eppure la storia di Giobbe prova che questa affermazione è falsa:
Se è vero che la sofferenza ha un senso come punizione, quando è legata alla colpa, non è vero, invece, che ogni sofferenza sia conseguenza della colpa ed abbia carattere di punizione. La figura del giusto Giobbe ne è una prova speciale nell'Antico Testamento. La Rivelazione, parola di Dio stesso, pone con tutta franchezza il problema della sofferenza dell'uomo innocente: la sofferenza senza colpa. Giobbe non è stato punito, non vi erano le basi per infliggergli una pena, anche se è stato sottoposto ad una durissima prova. Dall'introduzione del Libro risulta che Dio permise questa prova per provocazione di Satana. Questi, infatti, aveva contestato davanti al Signore la giustizia di Giobbe: « Forse che Giobbe teme Dio per nulla? ... Tu hai benedetto il lavoro delle sue mani, e il suo bestiame abbonda sulla terra. Ma stendi un poco la mano e tocca quanto ha, e vedrai come ti benedirà in faccia »(25). E se il Signore acconsente a provare Giobbe con la sofferenza, lo fa per dimostrarne la giustizia. La sofferenza ha carattere di prova.
Ma non è tutto qua: convinto della propria giustizia, Giobbe credeva nell’esistenza di un Giusto. Egli non comprende donde vengono i drammi che lo colpiscono, ma resta fedele a Dio. Nella scena finale, Dio fa comprendere a Giobbe che non c’è disgrazia che egli non possa rovesciare. Dopo di che, lo ristabilisce in uno stato migliore di quello che aveva preceduto.
Contemplando Cristo in croce, si può meglio comprendere quello che già Giobbe diceva alla moglie: «Se da Dio accogliamo il bene, perché non dovremmo accogliere anche il male?» (Gb 2,10). Non si tratta di subire un destino dettato da Dio, ma di battersi contro le ingiustizie, perché Dio stesso le combatte. Allo stesso tempo, l’uomo è chiamato ad accogliere i mali di cui Egli permette l’esistenza. È il mistero della Provvidenza contemplato in Paradiso da tutti i santi.
Perché tante catastrofi naturali?
Ci si potrebbe comunque chiedere perché siano tante le catastrofi naturali permesse da Dio. Perché la sua creazione, che nulla ha fatto di male, diventi crudele provocando la morte degli innocenti. Quando Dio creò la natura, tutto era buono; quando però il peccato è entrato nel mondo, anche la natura è stata contaminata. La corruzione della creazione, che fino ad allora era perfetta, ha comportato le catastrofi naturali. Prima della caduta dell’umanità (anticipata in Adamo ed Eva) c’era perfetta armonia fra l’uomo, gli animali e la natura – l’uomo era il custode del creato. Il primo capitolo della Bibbia racconta: «Dio vide tutto quello che aveva fatto, ed ecco: era cosa buona» (Gen 1,31). Quando però Adamo ed Eva commisero il peccato originale, una delle prime conseguenze è stato la rottura di tale armonia.
Istantanee dal terremoto in Turchia e Siria
Così, il peccato originale non riguarda soltanto l’anima degli uomini e delle donne, ma apporta anche disordini nel mondo naturale. Come spiega il Catechismo, l’armonia è rotta e la creazione visibile diventa estranea all’uomo e a lui ostile (CCC 400). Benché il bene resti presente nella natura, vi serpeggiano pure inondazioni, uragani e tornadi. Questi eventi non sono “opera di Dio”, direttamente, ma risultano dall’imperfezione del mondo, e tale imperfezione non viene da Dio ma è segno del male.
La risposta luminosa di sant’Agostino
Sant’Agostino, testimone di un terremoto che ridusse in rovina diverse città d’Asia Minore nel 397, vide in quel dramma un promemoria della fragilità della nostra vita umana:
Perciò viviamo bene e, perché questo ci sia possibile, chiediamolo a colui che ce l'ha comandato. E per la nostra vita buona non aspettiamoci dal Signore una ricompensa terrena. Spingiamo la nostra attesa a ciò che ci viene promesso. A questo attacchiamo il nostro cuore, così esso non si potrà incancrenire per le preoccupazioni temporali. Passano queste cose che incatenano gli uomini, volano via, la vita umana sulla terra è un fumo 43. A questa vita poi così fragile si aggiungono i gravi e così frequenti pericoli. Si ha notizia dall'Oriente di immani terremoti. Alcune grandi città sono crollate in un momento. A Gerusalemme, presi dallo spavento, giudei, pagani e catecumeni, quanti ce n'erano, sono stati battezzati. Si dice che i battezzati sono stati attorno ai settemila. Nelle vesti dei giudei battezzati è apparso il segno di Cristo. Son cose queste che ci vengono testimoniate dai continui rapporti dei fratelli nella fede. Anche la città di Sitifis è stata scossa da un terremoto così violento, che tutti si sono rifugiati in campagna per circa cinque giorni, e lì si dice che siano state battezzate un duemila persone. Da ogni parte Iddio si fa sentire, perché non vuol trovar nessuno da condannare. Qualcosa sta succedendo in questo torchio. Il mondo è un torchio; ora vi aumenta la pressione. Siate olio, e non morchia. Ognuno si converta a Dio e cambi vita. L'olio ha dei passaggi segreti, arriva per sentieri nascosti. Altri si fa beffe, deride, bestemmia, schiamazza per le piazze: questa è la morchia che defluisce. Intanto il padrone del torchio non smette di lavorare attraverso i suoi operai, ossia attraverso i suoi angeli santi. Egli conosce il suo olio, conosce che cosa deve raccogliere, quale pressione occorre perché defluisca. Il Signore infatti conosce quei che son suoi 44. Tenetevi lontani dalla morchia; essa si vede bene, è scura. Il Signore conosce quei che son suoi. Siate olio, tenetevi lontani dalla morchia. Si allontanino da ogni malvagità tutti coloro che invocano il nome del Signore. Non concepite odii, oppure finiteli subito. Non sono le predette sventure che fanno paura. Tu hai paura del terremoto? Hai paura del fremito del cielo? Hai paura della guerra? Però dovresti aver paura anche della febbre. Per solito, quando di quelle cose grandi si ha paura, esse non vengono, e da un fianco invece scappa fuori una febbriciattola, e ti porta via. E dopo, se quel giudice ti vede come uno che egli non conosce, come uno di quelli cui dovrà dire: Non vi conosco, andate via da me 45, dopo che si fa? Dove si andrà? Dove si batterà la testa? Dove si troverà modo per riparare l'esistenza? Chi ci permetterà di vivere ancora e di rattoppare il male che si è fatto? È finito. Siete venuti veramente in pochi, però, se avete capito tutti, siete già molti. Non vi induca a sbagliare chi sbaglia, perché non vi inganna colui che mai sbaglia.
Sant’Agostino mette in luce un tratto particolarmente caratteristico della sapienza cristiana: non possiamo spiegare tutto, ma siamo certi di una cosa. Sappiamo con certezza che non c’è situazione, non c’è sventura o prova che la fede non possa almeno rischiarare con la propria luce al punto da aiutarci ad attraversarla, permettendoci così di preservare la nostra anima. Sì, talvolta è impossibile lottare contro il male temporale, ma restando attaccati a Dio è possibile evitare il male eterno.
12 pensieri di grandi santi sul Paradiso:
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]