“L'aldilà viene registrato?”, “L'arresto cardiaco non è la fine della vita?” Nel novembre scorso, titoli sensazionalisti di questo tipo hanno riempito i media.
Molte pagine web hanno scritto degli studi di scienziati statunitensi e britannici che, mediante l'analisi dell'attività cerebrale prima della morte, hanno dimostrato l'esistenza di una realtà diversa da quella che conosciamo.
Colpisce poi il fatto che lo studio menzionato non avesse ancora visto la luce. Alla fine è stato pubblicato l'11 gennaio, ma i dati sono passati inosservati. È forse un peccato, perché, pur essendo molto meno sensazionalisti dei titoli dei discorsi, mostravano l'esistenza di vari elementi interessanti.
Consapevolezza di morire
Il dottor Sam Parnia, direttore del Dipartimento di Ricerca in Terapia Intensiva e Rianimazione della Facoltà di Medicina dell'Università di New York, studia i processi fisiologici che si verificano nel corpo durante la rianimazione e la morte da quasi 30 anni. Per il suo ultimo studio, ha riunito un impressionante gruppo di collaboratori, raccogliendo dati e osservazioni di 25 strutture mediche.
Dei 567 pazienti rianimati monitorati in modo dettagliato, 53 sono sopravvissuti. In seguito sono state realizzate interviste mediche dettagliate a 28 di loro. 11 hanno dichiarato di aver vissuto un'esperienza che indica qualche tipo di consapevolezza al momento di morire e rianimarsi. Il dottor Parnia ha poi diviso queste situazioni in quattro gruppi:
Risveglio dal coma durante la rianimazione (2 pazienti);
risveglio dal coma dopo la rianimazione (2);
verificarsi di sogni (3);
esperienze trascendenti (6).
La distribuzione delle dichiarazioni precedenti è in genere coerente con quella ottenuta durante le interviste a un gruppo più ampio di pazienti (126 persone) che hanno subìto un arresto cardiaco o respiratorio nel periodo precedente e non erano soggetti a un monitoraggio continuo dell'attività cerebrale come parte dello studio discusso in questa sede.
Esperienze trascendenti dei moribondi
Ci interessa in modo particolare l'ultimo dei punti menzionati in precedenza, ma chiediamoci prima cosa intenda l'autore dello studio per “esperienze trascendenti”. In base alle dichiarazioni dei pazienti, le più comuni sono la sensazione di vivere la rianimazione come se si stesse fuori dal proprio corpo e quella di vedere il corso della propria vita fino a questo momento a un ritmo accelerato.
Si suppone anche che queste esperienze siano accompagnate da una sensazione di calma assoluta,
il che contrasta con le descrizioni di reazioni fisiologiche violente osservate dai medici in questi pazienti (agitazione, gemiti, movimenti oculari rapidi).
Curiosamente, in base a studi precedenti sul tema, circa il 10-20% delle persone sopravvisute alla rianimazione dichiara che dopo questo evento si verificano effetti psicologici positivi, inclusa la trasformazione della propria vita. Queste dichiarazioni sono avanzate principalmente da persone del gruppo le cui esperienze rientrano nella categoria della trascendenza.
Come regola generale, tra gli effetti psicologici della rianimazione, i pazienti menzionano con maggior frequenza il deterioramento della memoria, i disturbi depressivi e il disturbo da stress post-traumatico. In base allo studio, la percentuale di queste dichiarazioni oscilla tra il 20 e il 50 %.
Il nostro cervello prende vita quando moriamo?
Come sottolinea il dottor Parnia nel suo ultimo studio, i risultati della sua ricerca, sostenuti da un accompagnamento dettagliato dell'attività cerebrale dei pazienti rianimati, contraddicono la supposizione finora accettata in medicina per cui i pazienti durante la rianimazione sono incoscienti.
L'aspetto più sconcertante è che l'esperienza di morire può essere affiancata da un aumento particolare nell'attività delle onde cerebrali gamma, responsabili della concentrazione e della creatività.
Astenendosi da commenti non scientifici, il dottor Parnia trae una conclusione pratica: i pazienti durante la rianimazione dovrebbero (paradossalmente) essere sottoposti a una sedazione aggiuntiva per ridurre il rischio del possibile trauma collegato al fatto di sperimentare lo “stato limite”.
“Le sensazioni forti non possono essere pensate come trucchi di un cervello moribondo e disorganizzato, si liberano dei freni naturali e si apre la strada agli strati profondi della coscienza, inclusi i ricordi e i pensieri di tutta la vita. Anche se non sappiamo quale sia il proposito evolutivo di questo fenomeno, pone domande interessanti sulla nostra consapevolezza, anche al momento della morte”, conclude lo scienziato.