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È vero che la Chiesa consentiva di bere cioccolata calda nei giorni di digiuno?

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Lucia Graziano - pubblicato il 22/02/23
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Fra il serio e il faceto, questo aneddoto viene riproposto ogni anno, quando la Quaresima si avvicina. Ma quanto c’è di vero in questa storia?

Ma è vero che la Chiesa consentiva di bere la cioccolata calda anche nei giorni di penitenza, forte dell’assunto per cui “liquidum non frangit ieiunium” e quindi scofanarsi una decina di tazze di Ciobar è tutto sommato una valida forma di mortificazione corporale?

Tra il serio e il faceto, ogni anno questo aneddoto viene tirato in ballo quando la Quaresima si avvicina: ma quanto c’è di vero in questa storia? La questione merita un approfondimento: è vero che papa Gregorio XIII, firmando un provvedimento che fu poi ratificato da molti suoi successori, consentì il consumo di cioccolata liquida nei giorni di digiuno. Ma la storia è più complessa di quanto possa sembrare a prima vista (e no, non consente ai fedeli di affrontare i giorni di digiuno ingollando barattoloni di Nutella. Mi spiace).

Una volta, la “cioccolata liquida” era, di fatto, una tisana

Per affrontare appropriatamente la questione, lo storico deve necessariamente domandarsi: che cos’era, esattamente, la cioccolata liquida ai tempi di papa Gregorio XIII (1501-1585)? Carte alla mano, la risposta è inequivocabile: all’epoca, era una bevanda che i medici ritenevano potesse essere un ottimo ricostituente per i malati (oppure un tonico energizzante per gli individui sani che dovevano affrontare particolari sforzi fisici o mentali). Probabilmente, i nostri antenati lo consideravano alla pari di quelle bevande energetiche che gli sportivi di oggi consumano al termine degli allenamenti, per ritrovare le energie.

Anche la consistenza doveva essere qualcosa di simile: quando parliamo di “cioccolata liquida” della prima età moderna, non dovremmo pensare alla corposa cioccolata in tazza che oggigiorno gustiamo al bar, quanto più alle ciotole di latte nelle quali abbiamo sciolto un po’ di cacao solubile per bambini. All’epoca, la cioccolata liquida era – a tutti gli effetti – una tisana, che si otteneva a partire da semi di cacao, lasciati in infusione in un tazzone di acqua calda. I più golosi potevano decidere di utilizzare una base di latte o di migliorare il sapore con l’aggiunta di altri ingredienti (tra i quali compariva spesso, ma non necessariamente, lo zucchero): in ogni caso, la cioccolata liquida restava comunque una bevanda, molto simile al nostro tè.

E non particolarmente gustosa, stando a quanto si legge dalle fonti d’epoca: per esempio, Bartholomeo Marradòn scriveva nel 1618 che i semi di cacao «hanno un sapore così amaro e così sgradevole che non c’è da stupirsi che, dopo il primo assaggio, la gente provi disgusto per le bevande preparate con esso». Potremmo forse definirlo l’omologo di un caffè amaro: c’è gente a cui piace, ma stiamo parlando di qualcosa di ben diverso rispetto alla Nutella.

Juan de Cárdenas, un medico fin troppo zelante

Stante così la situazione, agli uomini del tempo restava da capire se la cioccolata liquida spezzasse il digiuno oppure no. Era una domanda di un certo peso, perché molti individui avevano preso l’abitudine di fare largo uso di questa bevanda nei giorni di digiuno, spronati dalle rassicurazioni dei medici che ne parlavano come di un liquido energizzante (e dunque, capace di tenere in forze anche un individuo indebolito dal digiuno).

Le gerarchie ecclesiastiche non avevano nulla da ridire riguardo questa pratica; come spesso capita nella Storia della Chiesa, i problemi cominciarono nel momento in cui un laico si alzò la mattina con la pretesa di saperne più del papa. In questo caso, il suo nome era Juan de Cárdenas, medico spagnolo trasferitosi nelle colonie messicane: sul finire del XVII secolo, lo zelante nutrizionista sentì il bisogno di dare alle stampe un trattatello nel quale (fra le altre cose) ci teneva a sottolineare quanto fosse intrinsecamente assurdo il solo pensiero di poter consumare cioccolato nei giorni di digiuno senza commettere peccato.

V’erano molti che ritenevano di poterlo fare, affermando che il cioccolato liquido non spezza il digiuno perché è una bevanda; ma a giudizio del medico, il termine “bevanda” veniva comunemente utilizzato nel linguaggio ecclesiale per descrivere due diversi tipi di sostanze:

  1. i liquidi che vengono consumati al solo scopo di idratare l’organismo togliendo il senso di sete;
  2. tutte quelle sostanze che possono materialmente essere consumate a sorsi, perché si presentano in forma liquida.

Secondo il dottor de Cárdenas, nella seconda tipologia di bevande venivano spesso fatti rientrare anche degli alimenti veri e propri (paradossalmente, anche una minestra potrebbe essere bevuta a bicchieroni, ma nessuno negherebbe il suo esser nutrimento). Ma, poiché lo scopo del digiuno ecclesiastico è quello di mortificare la carne negandole cibo, è chiaro che un buon cristiano dovrebbe scartare a priori tutte queste tipologie di alimenti in forma liquida: ad assicurarlo era un medico!

E quanto ai liquidi dissetanti del punto 1, che non danno nutrimento all’organismo ma si limitano a idratarlo? Beh, neanche quelli andavano bene al rigorosissimo de Cárdenas: se i liquidi vengono assunti con l’unico scopo di idratarsi, l’acqua è più che sufficiente allo scopo. Perché titillare le proprie papille gustative con qualcosa di diverso e più saporito?

Il papa, il cardinal Brancaccio e le tazze di cioccolata

Chissà se lo zelante dottor de Cárdenas si rendeva conto delle conseguenze a largo raggio delle sue parole. Le sue argomentazioni erano – di fatto – in un attacco a tutto tondo al consumo di qualsiasi altra sostanza all’infuori dell’acqua fresca di sorgente: dar sostegno alle sue tesi avrebbe voluto dire condannare millecinquecento anni di tradizione cattolica, giacché nessuno mai, nel corso della Storia, aveva ritenuto di dover adottare abitudini quaresimali così draconiane. Vino e birra erano sempre state considerate bevande perfettamente accettabili ai giorni di digiuno: ciò voleva dire che, per tutto questo tempo, l’intera cristianità aveva peccato, anno dopo anno?

Gli scritti di de Cárdenas (del resto molto persuasivi per il modo in cui il medico argomentava le sue tesi) crearono un tale scalpore che il viceré del Messico si sentì in dovere di chiedere un parere ad Agustín Dávila Padilla, vescovo di Santo Domingo. Il prelato riteneva che non vi fosse nulla di peccaminoso nel consumare nei giorni di digiuno qualche buon bicchiere di cioccolata liquida (o di altre bevande a piacimento); ma, per scrupolo, volle interpellare direttamente la Santa Sede. E furono queste le circostanze che spinsero il papa ad analizzare la questione, giungendo infine a una risposta positiva: sì, la cioccolata (e la birra, e il vino, e altre bevande assortite) rientravano senza dubbio nel novero di quei liquidi che potevano essere consumati senza spezzare il digiuno.

Ma neanche le parole del papa bastarono a tranquillizzare del tutto i fedeli (!). Le considerazioni del medico messicano avevano fatto colpo: nel corso dei decenni immediatamente successivi, voci polemiche continuarono a levarsi qua e là, facendo notare che la scienza considera “cibo” qualsiasi sostanza capace di fornire un apporto nutritivo alle persone che la consumano, indipendentemente dalla sua consistenza più o meno liquida. Si era davvero sicuri che il cioccolato (del resto, risaputamente energizzante!) potesse essere considerato bevanda?

Fu il cardinal Francesco Maria Brancaccio a chiudere una volta per tutte questo dibattito nel 1664. Il cioccolato – argomentò il prelato – è certamente da considerarsi alimento quando viene consumato in forma solida o quando, nella tazza, i semi di cacao vengono mescolati ad altri ingredienti come burro, panna o granella di biscotto. Ma se i semi di cacao vengono lasciati in infusione in un bicchiere d’acqua calda e poi bevuti a mo’ di tisana, il liquido che si ottiene è indubbiamenteuna bevanda; e, in quanto tale, non spezza il digiuno. E questa precisazione riuscì effettivamente a mettere la parola “fine” a un dibattito che si trascinava ormai da quasi un secolo: l’interpretazione del cardinal Brancaccio, difficilmente contestabile, finì con l’essere accettata senza ulteriori polemiche.

Del resto, il cardinale era stato molto chiaro (“fin troppo”, verrebbe da dire ironicamente, notando la precisione con cui aveva eliminato ogni possibile scappatoia): se oggigiorno, per assurdo, qualcuno volesse affrontare un digiuno ecclesiastico a base di cioccolata calda, potrebbe farlo solo a patto di rassegnarsi a bere delle tisanine sciape, create con nessun altro ingrediente all’infuori di cacao e acqua. Insomma: non esattamente quella prelibatezza che ci verrebbe da immaginare di primo acchito!

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