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Giacinta, la bimba che voleva salvare le anime dal fuoco infernale 

Jacinthe de Fatima

Jacintha Marto

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Anne Bernet - pubblicato il 23/02/23
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La più giovane dei bambini veggenti di Fatima ha sofferto il martirio prima di rendere l’anima a Dio. Bambina coraggiosa, ha donato la vita per salvare i peccatori dal fuoco dell’inferno. Giacinta è stata canonizzata il 13 maggio 2017, e la Chiesa la festeggia col fratello Francisco il 20 febbraio.

Cadde la notte, quel 20 febbraio 1920, e il crepuscolo intinse di un triste chiarore i corridoi dell’orfanotrofio di Nostra Signore dei Miracoli a Lisbona. In una delle camere dell’infermeria stava una bimba di dieci anni: 

Per favore, Sorella, so che sto morendo. Chiamate un prete… 

Trattandosi di una bambina come le altre, suor Maria della Purificazione non avrebbe preso sul serio questa domanda, ma la bambina non era una qualsiasi, e da quando era entrata nell’istituto, un mese prima, la religiosa (nel frattempo divenuta la sua confidente) prestava fede a quello che lei raccontava. E quindi si affrettò a chiamare il cappellano. 

Costui arrivò, accettò di ascoltare la confessione della malata ma non di darle il viatico. Certo, nell’istituto ormai tutti sapevano che la piccola non ne avrebbe avuto ancora per molto, ma niente lasciava presagire che la fine fosse tanto imminente. Perentorio, il prete le disse che avrebbe fatto la comunione il giorno dopo e se ne andò. Avrà sentito la vocina dirgli “domani sarò morta…”? 

Ad ogni modo, il prete fece come se non avesse inteso e se ne andò. La bambina restò sola in camera. Abbandonata, desolata dell’essere privata dell’Eucaristia, sola consolazione che reclamava. Eppure non si lamentava. Dio l’ha permesso, sia fatta la sua volontà. E la volontà di Dio era diventata tutto, per lei. Poiché questo è l’unico mezzo per espiare peccati e strappare le anime all’inferno, in cui cadevano «come fiocchi di neve». 

L’ultima di otto figli 

La bambina in agonia, lontana dai genitori e dalla famiglia, chiusa in quell’orfanotrofio lisbonese, si chiama Jacintha Marto. In Portogallo tutti la conoscevano: era una di quei tre bambini che, a Fatima, avevano visto la Santa Vergine. Nata l’11 marzo 1910, ultima di una famiglia di otto figli, Jacintha era passata per capricciosa fino all’età di sei anni: pare fosse capace di tenere il broncio per ore e ore, quando non otteneva ciò che voleva. Tenera, gaia, gioiosa la maggior parte del tempo, aveva sempre buon cuore, e nulla sembrava predisporla – non più del fratello maggiore Francisco e della cugina Lucia – a diventare la messaggera di Nostra Signora del Rosario. 

Eppure questo fu ciò che accadde, e fin dalla seconda apparizione della Vergine a Cova de Iria, Jacinrtha si trasformò, scoprendo l’immenso amore del Cuore Immacolato di Maria: «il cuore della nostra cara Mamma del Cielo», come diceva nel suo linguaggio fanciullesco. La scoperta la immerse in una gioia piena di stupore e gratitudine: davanti a quel cuore, i piaceri e i giochi della terra persero la loro attrattiva e, in ogni istante, i suoi cari la sorprendevano in ginocchio e assorta nelle sue preghiere. A Lucia, l’unica che potesse comprendere il proprio ardore interiore, spiegava: 

Amo così tanto ripetere: «Dolce cuore di Maria, siate la salvezza dell’anima mia! Cuore immacolato di Maria, convertite i peccatori e preservate le anime dall’inferno!». 

Un’anima espiatrice 

Dell’inferno, Jacintha non conosceva che la rappresentazione minacciosa e rosseggiante della chiesa parrocchiale, buona (nella sua arte maldestra) a spaventare i bambini ma, durante la terza visita, Nostra Signora rivelò ai tre giovani peccatori la terrificante visione del regno demoniaco e lo spettacolo delle anime che vi si consumavano come carboni ardenti, tra sofferenze inestinguibili. Lo choc fu di irrimediabile violenza: con una chiaroveggenza che ci sfuggirà per sempre, la bambina comprese sia l’immensità dell’amore divino sia la gravità del peccato che lo offende, e la necessità di una soddisfazione all’altezza dei crimini, in ordine alla giustificazione. Se il fratello maggiore, Francisco, si diede per missione il “consolare Gesù”, Jacintha, sconvolta dalle dichiarazioni della Signora («la gente si danna perché non c’è nessuno che preghi e che si sacrifichi per loro»), si dedicò al compito – apparentemente al di sopra delle sue forze. Divorata di compassione, la bimba non cessò mai di ripetere: «Mio Dio, quanta pietà ho di quanti vanno all’inferno!». 

Tanta compassione divenne effettiva. Jacintha pregava e si sacrificava, in effetti, come Maria aveva domandato, per salvare quegli infelici. Con una corda trovata per strada si era fatta un cilicio, che stringeva fino a piangere di dolore, e rifiutò di toglierselo perché le sue sofferenze salvavano le anime e consolavano Gesù. Si privò di ogni dolcezza: digiunava, andava a messa ogni mattina, anche quando non ne poteva più, «per quelli che non ci vanno mai, neanche la domenica…». Jacintha fu un’anima espiatrice, riparatrice – una delle più formidabili vocazioni che esistano. Restava il fatto che era pur sempre una bambina – una bimba consapevole di dover vivere una breve vita sulla terra. Dopo la spaventosa visione dell’inferno, Maria promise ai bambini che vi sarebbero sfuggiti e poi annunciò ai due piccoli Marto che sarebbe tornata presto a prenderli (annuncio che li riempì di gioia), mentre Lucia (destinata a vivere a lungo) piangeva di dispetto all’idea di non andare presto in Cielo. 

Sapeva che la sua ora era vicina 

La promessa di Nostra Signora non tardò a realizzarsi: nell’autunno del 1918, un anno dopo l’ultima apparizione e il miracolo del sole, Francisco e Jacintha si presero l’Influenza Spagnola, che devastò i loro fragili organismi. Il fratello partì per primo, il 4 aprile 1919, dicendo alla madre in lacrime: «Mamma, non vedi questa luce magnifica?». Più robusta, Jacintha sembrava aggrapparsi alla vita, ma a che prezzo! I trattamenti medici (inappropriati, ma che avrebbero dovuto dare sollievo ai suoi polmoni divorati dalla malattia) aprirono sui suoi fianchi una piaga incurabile che le causava intollerabili e costanti dolori. Invece di lamentarsene, se ne rallegrava. Non aveva forse accettato di soffrire per consolare Gesù e salvare le anime? «Amo tanto dire a Gesù che lo amo! Amo tanto soffrire per fargli piacere!». 

Per soffrire, certo soffriva: niente e nessuno sembrava capace di darle sollievo, e del resto lei non ne cercava. Sarebbe presto morta, come il fratello – Nostra Signora l’aveva detto. I grandi non accettano questa evidenza. A metà del gennaio 1920, un eminente medico – il dottor Lisboa – giunse al capezzale della piccola veggente e dichiarò che, nel suo ospedale a Lisbona, avrebbe potuto salvarla, a prezzo di una operazione pesante, sì, ma dal risultato garantito. Si trovarono dei benefattori che misero insieme la somma necessaria, ma Jacintha cercava di spiegare che non sarebbe servito a niente, perché la sua ora si approssimava. Non l’ascoltavano. I suoi genitori speravano di tenersela al punto che accettarono tutto, anche di separarsi da lei. 

La visita che sperava 

Lasciare Fatima per Lisbona fu una prova di più, la peggiore. Sapeva che non avrebbe mai rivisto il borgo natale, che sarebbe morta in quella città sconosciuta, lontano dagli affetti e in un dilaniante abbandono. Accettò: «Gesù, Maria, salvate le anime!». Il 10 febbraio, dopo una settimana di ospedalizzazione, l’intervento ebbe luogo – senza anestesia, tanto la bambina era fragile e indebolita. Subì un raschiamento a vivo, ma lo offrì. Da qualche parte nel mondo, si diceva, il suo supplizio strappava anime ai bracieri infernali. Al personale medico, che la compiange, cosciente del fatto che quella tortura non sarebbe servita a niente, rispose: «Pazienza… bisogna soffrire molto per andare in Cielo…». Soffrire? Nessuno comprendeva come potesse sopportare ancora: nessun farmaco faceva più effetto. 

Il 16 febbraio, Jacintha ricevette la visita che tanto desiderava. Nostra Signora apparve al suo capezzale: «Torno presto a prenderti, ma già da adesso ti tolgo tutte le sofferenze». In effetti, senza alcuna spiegazione medica i dolori scomparvero. Restavano a Jacintha quattro giorni di vita terrena. Come aveva annunciato, la bimba si spense, da sola, verso le 10 di sera, poco dopo la partenza del prete che non aveva voluto ascoltarla. Dal suo corpo sfinito si sprigionarono subito  fragranze meravigliose che permasero fino alla sepoltura, a Vila Nova de Ourem – sepoltura provvisoria donde avrebbe ritrovato Fatima nel 1935. 

Nelle nostre miserie, piccole o grandi, cerchiamo di pensare a quella bambina di dieci anni, il cui esempio fa vergognare gli adulti, e ricordiamoci che la salvezza delle anime (la nostra e quelle del prossimo) ha un costo. «Molte anime si perdono perché nessuno prega e sacrifica per loro». Verrà un giorno in cui ce ne sarà chiesto conto. 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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